Angelo e DemoneRimasi in silenzio, ostinata, per un'ora buona, durante la quale ebbi l'opportunità di osservare i miei salvatori con maggiore attenzione.
L'uomo col cappello aveva un aspetto misterioso. Oltre al cappello nero, indossava un paio di pantaloni logori, un maglione di lana che un tempo doveva essere stato azzurro ma che ora sembrava di un grigio spento, un paio di stivaloni neri e sporchi e un cappotto nero dall'aria molto pesante. Portava i capelli scuri lunghi fino alle spalle e aveva un accenno di barba. Gli occhi erano scuri e apparivano gentili e pacati, come quelli di un vecchio troppo stanco per vivere. Mi stupì, perchè l'uomo non poteva avere più di trent'anni. Era armato da capo a piedi e camminava a larghe falcate, sicuro di sé e ben diritto. Nel complesso, era un uomo molto bello.
L'altro, invece, era un frate. Cosa che, in effetti, mi meravigliò non poco, perchè un frate non dovrebbe accompagnarsi a viaggiatori come l'uomo col cappello. Portava un saio lungo e marrone alla maniera dei francescani, aveva i capelli di un biondo scuro, lisci e un po' lunghi (non tanto quanto quelli dell'altro) e gli occhi verdi. Sembrava alto, ma era difficile a dirsi per il suo modo di stare un po' curvo, e pareva di corporatura snella, ma non potevo esserne certa a causa del largo abito monacale che indossava. Si muoveva a rapidi passettini e, mi parve, non aveva troppa dimestichezza con lame e coltelli.
Aveva però un viso meraviglioso, di proporzioni perfette ed aggraziate, e lo sguardo era dolce e penetrante e traboccava curiosità. I suoi occhi, pensai in quel momento, parlavano da soli, come se non avesse bisogno di labbra.
Quando i due ebbero messo insieme un improvvisato fuoco da campo, finalmente mi rivolsero la parola. Fu l'uomo col cappello a parlare per primo.
«Come ti chiami?»
Non risposi. Mi limitai ad abbassare lo sguardo verso il fuoco, sul quale il frate stava cuocendo del pane. I morsi della fame sopita si risvegliarono improvvisamente.
L'uomo col cappello guardò il frate. «Avevi detto che l'italiano lo capiva.»
«Credevo lo capisse. Ieri mi sembrava che avesse capito quel che le avevo detto...»
«Capisco benissimo l'italiano!» interruppi, guardandoli entrambi con sguardo accusatore. «Non sono così ignorante...»
Il frate sorrise della mia reazione. «Non intendevamo il contrario.»
«Forse» disse l'altro, «Ora non ti fidi di noi.»
«Dovrei?» domandai, con voce astiosa.
«Direi di sì, se avessimo voluto ucciderti avremmo potuto farlo almeno venti volte.»
Io abbassai di nuovo lo sguardo.
«Va bene, tieniti i tuoi segreti» disse il frate. «Comunque io mi chiamo Carlo.»
«Eh?» domandai, senza aver capito.
«È Karl, nella tua lingua.»
Io annuii, senza convinzione. Non mi importava molto, in quel momento, il nome del prete, quanto quello del suo compagno di viaggio. Avevo solo un'idea di chi potesse essere, ma speravo di sbagliarmi con tutto il mio cuore.
«Io sono...»
«Per favore... Per favore dimmi la verità. Tu sei Van Helsing, vero?» domandai, torcendomi un lembo della veste.
Lui sbuffò e sorrise, stanco. «Come fai a conoscermi?»
Io aspettai un attimo prima di replicare: «Ci sono strane storie su di te. Strane... testimonianze. È vero quello che hai fatto in Francia l'anno passato?»
«Se intendi la cattura e l'eliminazione di un pericoloso criminale dalla doppia personalità, sì.»
«Dicono che tu sia un assassino...»
Nessuno rispose. Era un silenzio molto pesante, e mi avvidi che avevo toccato un brutto argomento. Karl sembrò il primo a riscuotersi.
«Adesso tocca a te, credo.»
Sbuffai. «Mi chiamo Krista Maria.»
«Un nome molto religioso» commentò Van Helsing.
«Krista Maria e poi?» incalzò il frate.
«Cos'è, un processo?» domandai con rabbia.
Karl sembrò dispiaciuto dalla mia reazione. Van Helsing sorrise della sua.
«Come vuoi. Krista Maria per ora ci basta. Almeno sappiamo come chiamarti dato che verrai con noi» disse tranquillo il cacciatore di vampiri.
«Cosa??» esclamai io. «Non credo proprio!! Questa è casa mia!»
«Davvero?» chiese sempre più pacato Van Helsing. «Allora anche quei pazzi inferociti che ti vogliono morta fanno parte di casa tua?»
Sbuffai per l'ennesima volta, indispettita da quella gente che credeva di sapere tutto.
«Io non mi muovo» affermai risoluta.
Naturalmente il mio lettore sa già che dovetti seguirli.
Per circa una settimana cavalcai con loro, senza scambiare più di qualche parola.
Non parlavo quasi mai con Van Helsing, formulavo per lo più frasi brevi e concise con il frate. Man mano che passava il tempo mi convincevo della poca praticità che Karl aveva per la vita di viaggiatore. Correva di qua e di là come una formica operosa, con quei suoi passi corti e veloci. Van Helsing, dal canto suo, sembrava sempre più rilassato e tranquillo.
Per il resto, stavo sempre per conto mio, senza nemmeno provare ad avvicinare uno dei due uomini. Erano sempre loro a rivolgermi la parola per primi.
Una sera, però, cominciammo a parlare intorno al fuoco. Io me ne stavo a distanza, come se mi sentissi accerchiata, eppure davo loro più confidenza del solito.
Van Helsing mi raccontò di qualche sua avventura con mostri di ogni genere, come licantropi e vampiri. Rimasi affascinata da come lui da solo aveva tenuto testa a creature tanto pericolose senza venire mai ferito gravemente. Ero ammaliata, incapace di smettere di ascoltarlo.
Nel corso della nottata lui e Karl riuscirono a strapparmi tantissime informazioni che avrei voluto tenere per me, a cominciare dal mio nome.
«Allora, adesso che siamo buoni amici vuoi dirci come ti chiami?» domandò gentile Karl.
«Mi chiamo Krista Maria Drahulia.»
Dopo questa mia involontaria confessione, mi sembrò che qualcosa avesse turbato la quiete. Van Helsing si scambiò uno strano sguardo con Karl, il quale alzò le mani in segno di impotenza. Mi chiesi cosa non andasse. Van Helsing sembrava preoccupato. Si volse verso di me lentamente e, gli occhi ridotti a fessura, chiese in un sussurro: «Ne sei sicura?»
«Cosa?» domandai io, senza capire.
«Sei sicura di chiamarti così?»
«C-certo...» risposi. «Mio padre era Dimitri Von Drahulia, uno degli uomini più potenti della Romania. Perchè?»
«Niente!» rispose Karl, visibilmente turbato. «E' solo un nome insolito.»
Non ero convinta ma decisi di non indagare. Forse sarei riuscita a saperne di più in un altro momento. Van Helsing, però, era più che preoccupato: era terrorizzato. In un qualche modo mi intimorì. Karl se ne accorse e spense il fuoco, dicendo che avevamo parlato abbastanza.
Nell'ombra della notte ascoltai i miei compagni di viaggio bisbigliare, convinti che stessi dormendo.
«Deve essere un'omonima.» La voce, benché storpiata dal sussurro, doveva appartenere a Karl.
«Si, deve essere così...» sentii che rispondeva Van Helsing.
«Non sembri convinto.»
«Non lo sono affatto.»
«Mi stai dicendo che forse abbiamo trovato una diretta discendente del conte?»
«Se anche fosse, dobbiamo mantenerla all'oscuro di tutto.»
«Ma... ma... ma è tua nipote, Van Helsing!» esclamò preoccupato Karl.
Van Helsing doveva aver sbuffato e, dal rumore, mi parve che si fosse avvolto nelle coperte.
«Come vuoi, non parliamone. Ma credo che non finirà troppo presto...»
Anche Karl si girò e si coprì. Dopo poco lo sentivo già russare.
Come io non riuscivo a prendere sonno, sentii che anche Van Helsing era irrequieto.
Edited by ;LuLuOMNiPOTENCE} - 25/9/2009, 19:58