Love Blood, FF su Van Helsing *sbaaav*

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;LuLuOMNiPOTENCE}
view post Posted on 9/9/2009, 20:43




Premetto che questa FF non sarà di difficile comprensione per chi non ha visto il film del 2oo4 Van Helsing. E dico anche che per necessità ho dovuto cambiare alcune date storiche, quindi a tutti i prof di storia che stanno leggendo questa pagina chiedo scusa, perchè anche io amo questa materia, ma era necessario apportare alcune modifiche. Chiamiamola licenza poetica xD
La FF di fatto l'ho già scritta, ma è persa nei meandri inesplorati del mio hard disc xD
Bene, visto che ho sempre odiato le prefazioni buona lettura.



Prologo
Clarissa vive in una villa gigantesca, persa nella campagna, presso un paese di cui sfugge il nome. È una ragazzina sboccata, che odiava tutto e tutti. I genitori non la sopportano. In modo particolare la madre, che crede devotamente in santa madre Chiesa, è esasperata dal modo di comportarsi della figlia.
Un giorno, disperata, la chiude a tradimento nella grande biblioteca della casa.
«Fottiti, donna!» grida Clarissa, «Non ti sopporto, sei una puttana!»
«Non uscirai da lì dentro fin tanto che non avrai letto la Bibbia. E sto parlando di tutta la Bibbia, dall'inizio alla fine!» risponde la madre, allontanandosi.
Clarissa bestemmia e si siede per terra. La Bibbia! Per favore. Non la leggerebbe nemmeno a pagamento. Ci sono altri libri, può leggere quelli. Eppure dentro di lei qualcosa le dice di no.
“E va bene!” pensa. “Leggiamola...”
Si alza e si avvicina ad una delle librerie. Ci sono tre Bibbie. Una ha la copertina blu, e Clarissa la scarta subito: odia quel colore. Un'altra è pesantissima, piena di inutili disegni e fronzoli. La terza è strana, con una copertina rossa di pelle morbida e flessibile.
Incuriosita, Clarissa la apre. La prima pagina riporta il titolo del primo libro dell'Antico Testamento. Sbuffando, già annoiata, la ragazzina continua a sfogliare. Dopo tre pagine bianche, i fogli sono pieni di una calligrafia precisa, piccola e minuta, fortemente femminile, tipica di anni in cui occorreva saper scrivere bene.
Clarissa ha un tuffo al cuore. Cos'era, uno scherzo? La Bibbia non la scrivono le donne. E soprattutto non a mano, non nel 2009.
Continuando a sfogliare le pagine, un figlio ripiegato esce dal libro: l'albero genealogico della famiglia di Clarissa, che termina con il nome femminile di Krista Maria Drahulia.
“Che strano...” pensa Clarissa. Vinta dalla curiosità, con il figlio spiegato sul tavolo, la ragazzina comincia a leggere.

Laudato Sii

Mi sono ripromessa di raccontare tutti i particolari della storia che sto per narrare, senza esclusione alcuna. Mi chiamo Krista Maria Drahulia e questa è la storia di come sono venuta a conoscenza delle mie origini e di come io ed alcuni compagni abbiamo sconfitto un grande male.
È bene cominciare dicendo che fin da bambina ho vissuto in un villaggio tedesco, di cui mi addolora scrivere il nome. Orfana di madre, sono stata istruita da mio padre, un ricco uomo borghese, che mi insegnò le lingue, la matematica e la scienza, la geografia e la teologia. Potevo definirmi fortunata, perchè era un privilegio poter sapere certe cose. Ma quando anche mio padre morì, io persi ogni ricchezza e fui costretta a lavorare come lavandaia. Per ingannare il tempo mi intrattenevo cantando le liturgie imparate in chiesa.
Era allora l'anno del signore 1888. Un giorno, mentre cantavo “Laudato Sii”, una donna mi sentì e fraintese le mie parole, pensando che stessi invocando il diavolo. Immediatamente corse a dirlo a tutto il paese. I soldati vennero a prendermi. Era il mio un piccolo villaggio, nel quale (a parte i pochi ricchi di cui un tempo potevo dirmi amica) vivevano persone superstiziose e poco colte. Dopo due giorni di prigione, senza alcun processo, mi fu fatto indossare un abitino bianco di stoffa grezza e fui condotta nella piazza del paese. Il mio lettore potrà ben immaginare quale sarebbe stato il mio destino: bruciata sul rogo come eretica davanti a tutti i miei compaesani. Fui legata ad un palo intriso d'olio e accerchiato da paglia, mentre un prete faceva una breve predica.
Il caso volle che, proprio quel giorno, passassero per il mio paese due stranieri. Udirono, credo, le mie grida di protesta e accorsero per vedere cosa fosse successo. Disperata, avevo da un po' preso a guardarmi intorno. I miei occhi incrociarono lo sguardo di uno di loro, il quale tornò sui suoi passi, lontano dalla folla. Sul momento mi credetti perduta. Ma poi una voce alle mie spalle mi spinse a voltare il capo.
Un uomo incappucciato sorrideva.
«State tranquilla, restate ferma,» disse mentre mi slegava. Non parlava tedesco ma io compresi ugualmente. «Fingete di non avermi visto e non cambiate posizione.»
Stordita, feci appena in tempo a girarmi verso la folla che l'altro forestiero aveva attirato l'attenzione di tutti salendo sul tetto della chiesa. Con una strana arma sparò una corda contro un albero sulla collina alle mie spalle. La piazza era infatti situata tra la chiesa e le mura del villaggio, oltre le quali c'erano solo colline. L'uomo saltò dal tetto e tutti credemmo volesse suicidarsi. Si teneva invece alla corda, volando sulla folla come un circense. Non feci in tempo ad accorgermene che lo straniero mi aveva afferrata, portandomi con sé oltre la cinta muraria. Gridai per lo spavento e per la sorpresa. In pochi secondi ero sulla collina, intontita e spaventata.
L'uomo mi afferrò per un polso e fece per portarmi via.
«Lass mich frei!*» continuavo a gridare. Lo straniero sembrava non capire il tedesco. Mi indicò alcuni cittadini che già correvano verso di noi e poi mi mostrò due cavalli poco distanti.
Capii cosa intendeva e mi lasciai condurre ai cavalli. Lui si infilò un cappello e si strinse nel manto di pelle. Trafelato, ci raggiunse anche l'altro uomo, quello che mi aveva liberata. Si scambiò qualche rapida parola con il suo compagno in un idioma che non conoscevo, poi montò a cavallo. L'uomo con cappello lo imitò e mi issò dietro di lui.
Partimmo al galoppo attraverso la selva. Nella mia mente spaventata continuavo a sentire la folla inferocita dietro di noi anche quando ero ormai fuori pericolo.
Chi erano quegli uomini? Continuavano a parlare tra loro in quella lingua incomprensibile, ma dagli sguardi non sembravano barbari. Anzi, spesso mi sorridevano, come per rassicurarmi.
Andammo avanti a cavalcare per un periodo che mi parve infinito. Non ero abituata a cavalcare e gli animali andavano a gran velocità, scartando più volte per evitare gli alberi.
Quando finalmente ci fermammo, ero così indolenzita da non riuscire nemmeno a smontare. Alla fine risolsi di lasciarmi cadere giù. Fui prontamente afferrata dall'uomo con il cappello, che mi depose a terra con dolcezza. Si rivolse all'altro nella loro lingua e sembrò porgli una domanda, perchè l'altro rispose: «Parlale in italiano, lo capisce.»
Nessuno mi chiese più niente. Anzi, venni letteralmente ignorata. Mi sentii un poco indispettita da quel comportamento, ma ero così stanca e provata che crollai quasi subito addormentata.
Nella notte mi svegliai più volte, sudata e impaurita. Il mio sonno fu agitato da incubi e la veglia era piena di ombre oscure. Non avevo mai dormito in un bosco, così pieno di rumori e sussurri, dove anche il buio sembra pieno di mostri appostati ad ogni angolo. Credetti fosse la notte peggiore della mia vita. Quando finalmente giunse l'alba ringraziai la mia buona stella di avermi impedito di morire di paura. Bisogna dire che non avevo che vent'anni all'epoca, ero una ragazzina. Ci voleva poco ad impaurirmi, anche se nel periodo che seguì imparai che il panico è ben diverso. Ma sto divagando. Fu la prima notte che passai con i due stranieri.

*liberami!

Edited by ;LuLuOMNiPOTENCE} - 25/9/2009, 19:45
 
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;LuLuOMNiPOTENCE}
view post Posted on 9/9/2009, 21:02




Angelo e Demone

Rimasi in silenzio, ostinata, per un'ora buona, durante la quale ebbi l'opportunità di osservare i miei salvatori con maggiore attenzione.
L'uomo col cappello aveva un aspetto misterioso. Oltre al cappello nero, indossava un paio di pantaloni logori, un maglione di lana che un tempo doveva essere stato azzurro ma che ora sembrava di un grigio spento, un paio di stivaloni neri e sporchi e un cappotto nero dall'aria molto pesante. Portava i capelli scuri lunghi fino alle spalle e aveva un accenno di barba. Gli occhi erano scuri e apparivano gentili e pacati, come quelli di un vecchio troppo stanco per vivere. Mi stupì, perchè l'uomo non poteva avere più di trent'anni. Era armato da capo a piedi e camminava a larghe falcate, sicuro di sé e ben diritto. Nel complesso, era un uomo molto bello.
L'altro, invece, era un frate. Cosa che, in effetti, mi meravigliò non poco, perchè un frate non dovrebbe accompagnarsi a viaggiatori come l'uomo col cappello. Portava un saio lungo e marrone alla maniera dei francescani, aveva i capelli di un biondo scuro, lisci e un po' lunghi (non tanto quanto quelli dell'altro) e gli occhi verdi. Sembrava alto, ma era difficile a dirsi per il suo modo di stare un po' curvo, e pareva di corporatura snella, ma non potevo esserne certa a causa del largo abito monacale che indossava. Si muoveva a rapidi passettini e, mi parve, non aveva troppa dimestichezza con lame e coltelli.
Aveva però un viso meraviglioso, di proporzioni perfette ed aggraziate, e lo sguardo era dolce e penetrante e traboccava curiosità. I suoi occhi, pensai in quel momento, parlavano da soli, come se non avesse bisogno di labbra.
Quando i due ebbero messo insieme un improvvisato fuoco da campo, finalmente mi rivolsero la parola. Fu l'uomo col cappello a parlare per primo.
«Come ti chiami?»
Non risposi. Mi limitai ad abbassare lo sguardo verso il fuoco, sul quale il frate stava cuocendo del pane. I morsi della fame sopita si risvegliarono improvvisamente.
L'uomo col cappello guardò il frate. «Avevi detto che l'italiano lo capiva.»
«Credevo lo capisse. Ieri mi sembrava che avesse capito quel che le avevo detto...»
«Capisco benissimo l'italiano!» interruppi, guardandoli entrambi con sguardo accusatore. «Non sono così ignorante...»
Il frate sorrise della mia reazione. «Non intendevamo il contrario.»
«Forse» disse l'altro, «Ora non ti fidi di noi.»
«Dovrei?» domandai, con voce astiosa.
«Direi di sì, se avessimo voluto ucciderti avremmo potuto farlo almeno venti volte.»
Io abbassai di nuovo lo sguardo.
«Va bene, tieniti i tuoi segreti» disse il frate. «Comunque io mi chiamo Carlo.»
«Eh?» domandai, senza aver capito.
«È Karl, nella tua lingua.»
Io annuii, senza convinzione. Non mi importava molto, in quel momento, il nome del prete, quanto quello del suo compagno di viaggio. Avevo solo un'idea di chi potesse essere, ma speravo di sbagliarmi con tutto il mio cuore.
«Io sono...»
«Per favore... Per favore dimmi la verità. Tu sei Van Helsing, vero?» domandai, torcendomi un lembo della veste.
Lui sbuffò e sorrise, stanco. «Come fai a conoscermi?»
Io aspettai un attimo prima di replicare: «Ci sono strane storie su di te. Strane... testimonianze. È vero quello che hai fatto in Francia l'anno passato?»
«Se intendi la cattura e l'eliminazione di un pericoloso criminale dalla doppia personalità, sì.»
«Dicono che tu sia un assassino...»
Nessuno rispose. Era un silenzio molto pesante, e mi avvidi che avevo toccato un brutto argomento. Karl sembrò il primo a riscuotersi.
«Adesso tocca a te, credo.»
Sbuffai. «Mi chiamo Krista Maria.»
«Un nome molto religioso» commentò Van Helsing.
«Krista Maria e poi?» incalzò il frate.
«Cos'è, un processo?» domandai con rabbia.
Karl sembrò dispiaciuto dalla mia reazione. Van Helsing sorrise della sua.
«Come vuoi. Krista Maria per ora ci basta. Almeno sappiamo come chiamarti dato che verrai con noi» disse tranquillo il cacciatore di vampiri.
«Cosa??» esclamai io. «Non credo proprio!! Questa è casa mia!»
«Davvero?» chiese sempre più pacato Van Helsing. «Allora anche quei pazzi inferociti che ti vogliono morta fanno parte di casa tua?»
Sbuffai per l'ennesima volta, indispettita da quella gente che credeva di sapere tutto.
«Io non mi muovo» affermai risoluta.
Naturalmente il mio lettore sa già che dovetti seguirli.
Per circa una settimana cavalcai con loro, senza scambiare più di qualche parola.
Non parlavo quasi mai con Van Helsing, formulavo per lo più frasi brevi e concise con il frate. Man mano che passava il tempo mi convincevo della poca praticità che Karl aveva per la vita di viaggiatore. Correva di qua e di là come una formica operosa, con quei suoi passi corti e veloci. Van Helsing, dal canto suo, sembrava sempre più rilassato e tranquillo.
Per il resto, stavo sempre per conto mio, senza nemmeno provare ad avvicinare uno dei due uomini. Erano sempre loro a rivolgermi la parola per primi.
Una sera, però, cominciammo a parlare intorno al fuoco. Io me ne stavo a distanza, come se mi sentissi accerchiata, eppure davo loro più confidenza del solito.
Van Helsing mi raccontò di qualche sua avventura con mostri di ogni genere, come licantropi e vampiri. Rimasi affascinata da come lui da solo aveva tenuto testa a creature tanto pericolose senza venire mai ferito gravemente. Ero ammaliata, incapace di smettere di ascoltarlo.
Nel corso della nottata lui e Karl riuscirono a strapparmi tantissime informazioni che avrei voluto tenere per me, a cominciare dal mio nome.
«Allora, adesso che siamo buoni amici vuoi dirci come ti chiami?» domandò gentile Karl.
«Mi chiamo Krista Maria Drahulia.»
Dopo questa mia involontaria confessione, mi sembrò che qualcosa avesse turbato la quiete. Van Helsing si scambiò uno strano sguardo con Karl, il quale alzò le mani in segno di impotenza. Mi chiesi cosa non andasse. Van Helsing sembrava preoccupato. Si volse verso di me lentamente e, gli occhi ridotti a fessura, chiese in un sussurro: «Ne sei sicura?»
«Cosa?» domandai io, senza capire.
«Sei sicura di chiamarti così?»
«C-certo...» risposi. «Mio padre era Dimitri Von Drahulia, uno degli uomini più potenti della Romania. Perchè?»
«Niente!» rispose Karl, visibilmente turbato. «E' solo un nome insolito.»
Non ero convinta ma decisi di non indagare. Forse sarei riuscita a saperne di più in un altro momento. Van Helsing, però, era più che preoccupato: era terrorizzato. In un qualche modo mi intimorì. Karl se ne accorse e spense il fuoco, dicendo che avevamo parlato abbastanza.
Nell'ombra della notte ascoltai i miei compagni di viaggio bisbigliare, convinti che stessi dormendo.
«Deve essere un'omonima.» La voce, benché storpiata dal sussurro, doveva appartenere a Karl.
«Si, deve essere così...» sentii che rispondeva Van Helsing.
«Non sembri convinto.»
«Non lo sono affatto.»
«Mi stai dicendo che forse abbiamo trovato una diretta discendente del conte?»
«Se anche fosse, dobbiamo mantenerla all'oscuro di tutto.»
«Ma... ma... ma è tua nipote, Van Helsing!» esclamò preoccupato Karl.
Van Helsing doveva aver sbuffato e, dal rumore, mi parve che si fosse avvolto nelle coperte.
«Come vuoi, non parliamone. Ma credo che non finirà troppo presto...»
Anche Karl si girò e si coprì. Dopo poco lo sentivo già russare.
Come io non riuscivo a prendere sonno, sentii che anche Van Helsing era irrequieto.

Edited by ;LuLuOMNiPOTENCE} - 25/9/2009, 19:58
 
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;LuLuOMNiPOTENCE}
view post Posted on 9/9/2009, 21:58




Fantasmi del Passato
Nel dormiveglia in cui caddi di lì a poco, udii Van Helsing agitarsi. Per un momento fui profondamente indecisa se alzarmi oppure no. Stavo così bene sdraiata lì... Quando però Van Helsing si levò in piedi e si allontanò di soppiatto fu per me quasi naturale seguirlo. Avvolta nella mia nuova coperta, donatami da Karl in previsione del freddo inverno ormai alle porte, camminai sulle orme di Van Helsing fino ad un piccolo laghetto semi ghiacciato.
Lo vidi seduto a fissare la luna, mentre si rigirava una pistola fra le mani. Sembrava pensieroso e, per un attimo, fui tentata di tornare indietro e rimettermi a dormire.
Rimasi invece dietro un albero, non so per quanto tempo, finché Van Helsing disse ad alta voce: «Non stare lì in piedi, vieni pure.»
Rossa in viso per la vergogna di essere stata colta in flagrante, mi avvicinai stringendomi nella coperta. Lentamente mi avvicinai al laghetto e mi sedetti per terra, poco distante da Van Helsing.
Rimanemmo per un po' in silenzio, come se fossimo soli, ciascuno per conto proprio. Fu Van Helsing a rompere il silenzio.
«E' bella vero?» chiese, indicandomi la luna piena.
«Si. Molto.»
«A volte mi domando come sarebbe se non ci fosse. Ci sarebbero stati meno morti se fosse così.»
«Morti?» domandai.
«E' strano che una cosa così bella come la luna possa causare tanta sofferenza inutile.»
«Non capisco.»
Van Helsing mi guardò ed io colsi nel suo sguardo una strana luce. Allora pensai fosse il piacere di ricordare qualcosa, ora so che era affetto e gentilezza.
«Hai mai sentito parlare di un uomo di nome Vladislaus Drahulia?» mi chiese lui.
Io scossi la testa.
«Vladislaus Drahulia era il figlio naturale di Valerius il Vecchio, vissuto nel XV secolo in Transilvania, la regione più ad est della Romania. Era una creatura immonda, priva di scrupoli, più mostro che uomo. Valerius il Vecchio giurò in San Pietro a Roma che né lui né i suoi discendenti avrebbero avuto pace in Paradiso se non fossero riusciti ad eliminare Vladislaus.»
«Perchè Vladislaus era così cattivo?»
«Era la sua natura. Vladislaus fu assassinato nel 1462, all'età di quarant'anni.»
«Allora la famiglia di Valerius trovò la pace.»
«E' qui l'errore comune. Valerius pronunciò il suo giuramento dopo la morte del figlio.»
«Ma non ha senso...» protestai. Non ero così ignorante da poter credere che qualcuno volesse uccidere un morto e mi indispettì non poco che Van Helsing pensasse questo di me.
«Infatti», proseguì il mio interlocutore. «Vladislaus fu ucciso dal suo fratellastro, Gabriel, il figlio legittimo di Valerius. Dopo la morte, Vladislaus strinse un patto con il demonio stesso, il quale gli promise la vita eterna sulla Terra e la possibilità di volare. Quello che Vladislaus diede in cambio erano le sensazioni umane. Vladislaus Drahulia divenne un uomo a metà, immortale e perciò invincibile, ma costretto a non provare amore né paura, né gioia, né dolore.»
«Quindi Vladislaus divenne...»
«... un vampiro.»
Quella conclusione mi lasciò atterrita. Avevo pensato fosse diventato una specie di morto che cammina, non un vampiro. Non credetti alle parole di Van Helsing, ma finsi di farlo per sentirlo andare avanti. “Tutto quello che ha visto lo ha fatto impazzire” pensai.
«Vladislaus cominciò a farsi chiamare conte Dracula, sposò tre donne che condivisero con lui l'immortalità e dalle quali ebbe migliaia di figli. Naturalmente i vampiri non sono esseri viventi, per cui i loro figli nascono morti. Non era tanto la sua natura inumana a preoccuparci quanto le sue intenzioni. Forse avrai udito di uno scienziato, il dottor Victor Frankenstein.»
«Si, ha lavorato molto anche in Germania. Ma cosa centra?»
«Il dottore è morto due anni fa, ucciso da Dracula. Frankenstein aveva trovato la chiave della resurrezione e Dracula cercò di impossessarsene
per dare vita ai suoi figli. Collezionò un fallimento dopo l'altro, perchè gli era sfuggito un piccolo particolare: per far funzionare le macchine inventate da Frankenstein e concludere con successo il suo piano gli occorreva la creatura alla quale il dottore aveva dato la vita.»
«Allora è vero!» esclamai. «Mi avevano detto di questo mostro costruito in laboratorio. Io non ci avevo creduto...»
«Si, è vero. A Dracula occorreva quello.»
«E riuscì a trovarlo?»
«Aspetta, salti troppo alle conclusioni. Devi sapere che i Cavalieri del Santo Ordine, ovvero i miei superiori, mi mandarono in Transilvania con Karl, all'inizio di quest'anno, per fermare Dracula e salvare gli ultimi due discendenti di Valerius il Vecchio. Quando arrivammo, ancora nessuno sapeva del piano di Vladislaus, men che mai Anna, l'ultima Valerius rimasta.»
«Avevi detto che erano due.»
«E' così. Solo che, durante il nostro viaggio, Velcan, il fratello di Anna era caduto in combattimento contro un uomo lupo. Tutti noi pensammo fosse morto, ma venimmo poi a sapere che era stato morso appena prima di uccidere il mostro.»
Non riuscii a trattenere un'esclamazione di disappunto. Van Helsing mi sorrise.
«Direi che questa storia ti sta prendendo. Bene, per farla breve, il giorno stesso del nostro arrivo al villaggio di Anna riuscimmo ad uccidere Marishka, una delle mogli del conte. La sua rabbia fu totale. Dracula costrinse Velcan a mettersi al suo servizio e tentò di usare il suo corpo per dar vita ai suoi figli. Ci riuscì per qualche ora, ma il corpo di Velcan non era sufficiente. L'elettricità era tale che rischiò seriamente la vita. Tutti i figli di Dracula morirono. Io ero con Anna presso il castello dove Dracula aveva i suoi macchinari, ma fummo costretti a fuggire perchè Velcan, trasformato in lupo, ci inseguiva. Riparammo sotto un mulino vecchio e marcio, il cui pavimento era smosso e scosceso.»
«E il pavimento crollò, dico bene?»
«Già, crollò facendoci cadere in una grotta sotterranea. Lì trovammo una cosa: non capimmo subito che quello era il mostro creato da Frankenstein. Fu lui a spiegarci quanto fosse importante per rianimare i figli morti di Vladislaus.»
«E Velcan dov'era?»
«Ci stavo arrivando. Velcan ci aveva seguiti e aveva sentito tutto, così corse da Dracula a riferirgli. Cercammo invano di portare la creatura a Roma. Velcan ci intercettò e fu solo per un caso fortuito che Karl e Anna riuscirono a sopravvivere. Uccisi Velcan, ma rimasi ferito. Ero stato morso.»
Rabbrividii. «E poi?»
«E poi Karl ricostruì la storia dell'omicidio di Vladislaus e insieme trovammo la sua tana: un grandissimo castello di ghiaccio. Scoprimmo che solo un uomo lupo poteva uccidere Dracula, ecco perchè egli conservava un antidoto alla maledizione dell'uomo lupo. Senza fatica le sue mogli rimasero uccise, ed io combattei strenuamente contro Dracula. L'unica possibile soluzione era uccidere Dracula tra il primo e l'undicesimo rintocco della mezzanotte e prendere l'antidoto entro il dodicesimo. Non chiedermi come l'ho scampata. È stato solo grazie a Karl e ad Anna che riuscii a vincere la maledizione. Solo che...»
«Solo che?»
«Anna morì.»
Io non risposi. Per un momento ragionai sul tono grave con cui Van Helsing aveva pronunciato le ultime parole. Sembrava incredibilmente triste. Credetti di capire il perchè e, anche se non me ne ha mai parlato apertamente, sono ancora convinta di ciò che pensai allora: Van Helsing amava l'ultima discendente dei Valerius. Mi concessi un lieve sorriso di comprensione.
«Sono sicura che lei ti guarda. È da qualche parte lassù e veglia su di te.»
Van Helsing sorrise. «Lo penso anche io. Forse avrei potuto evitarlo, non lo so.»
Rimanemmo in silenzio per un po'. Non sapevo cosa dirgli per consolarlo, né lui aveva l'aria di qualcuno che desideri compassione. Alla fine mi costrinsi a rompere il silenzio per distrarlo.
«E Dracula?»
«Oh, Dracula è morto poco prima di Anna. Pregai Karl perché mi uccidesse nel caso avessi fallito. Non volevo restare licantropo a vita.»
«Perchè mi hai raccontato questa storia?» domandai, quasi in un sussurro. Avevo deciso che tutto era troppo strano per poter essere frutto della sua immaginazione e gli avrei creduto fino alla fine.
Van Helsing parve molto stupido dalla mia domanda. «Non hai capito? Avete lo stesso cognome. Ho i miei dubbi sul fatto che tu possa essere un'omonima, come sostiene Karl. “Drahulia” è un po' fuori dal comune, non ti pare?» disse ammiccando.
Io annuii. «Quindi?»
«Quindi, se i miei calcoli sono esatti, il conte Dracula è il tuo bis bis bis bis bisnonno, ovvero il nonno del tuo bisnonno.»

Edited by ;LuLuOMNiPOTENCE} - 25/9/2009, 20:57
 
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;LuLuOMNiPOTENCE}
view post Posted on 12/9/2009, 09:39




Fortuna Imperatrix Mundi
Rimasi un momento assorta nei miei pensieri. Sentivo lo sguardo indagatore di Van Helsing su di me, ma non me ne preoccupai più di tanto. Non volevo accettare quella assurda verità.
«Non ne puoi essere sicuro...» mormorai, più per convincere me stessa che lui.
«Infatti. Ecco perchè torneremo indietro, in Transilvania, per condurre qualche ricerca.»
«Sembri fin troppo interessato a questa storia. Se fossi al posto tuo, credo che mi dimenticherei di tutto e tornerei al mio lavoro.»
«Si, ma tu non sei me. Se proprio vuoi saperlo, questa faccenda mi turba molto. E poi mi incuriosirebbe sapere se Dracula ha messo incinta una donna prima o dopo la sua morte. Se suo figlio, o figlia, è nato prima del 1462 allora non c'è nulla du cui preoccuparsi. Ma se una donna può aspettare un figlio da un vampiro, da un uomo morto, e concepire una creatura vivente...»
«... vorrebbe dire che esistono vampiri a metà!» conclusi io.
«Esatto. Vampiri non completi. Sarebbe un problema.»
Stava ormai albeggiando. Decidemmo di svegliare Karl e parlargliene.
Riflettei su quello che avevo saputo. L'aver parlato con Van Helsing mi fece sentire meglio. Non mi sentivo più così estranea, anzi mi pareva quasi che avessimo stretto un legame d'amicizia. Era quasi confortante, perchè in un qualche modo sapevo di potermi fidare di lui. Non avevo mai avuto dubbi sul frate, perchè era uomo di chiesa; ora non dubitavo più nemmeno di Van Helsing.
«Ah», disse Van Helsing «Visto che siamo in vena di confessioni ti interesserà sapere che sono tuo zio di settimo grado.»
Lo guardai incredula. «Com'è possibile?»
Lui si voltò e mi guardò con espressione indecifrabile. «Gabriel, l'assassino di Vladislaus, ero io.»
«Ma dovresti avere oltre quattrocento anni!»
«Li porto bene, vero?»
«Ma scusa... Anna...»
«E' mia nipote, si. Non lo sapevo. Non ricordo assolutamente niente che venga prima di dieci anni fa. È stato Dracula a dirmi tutte queste cose. Non ho ritrovato la memoria, ma so che è successo realmente. Non guardarmi così! Non è colpa mia, no? Che ne potevo sapere, io? Avevo trent'anni quando uccisi il mio fratellastro.»
Io non risposi e lo precedetti nello spiazzo fra gli alberi dove Karl dormiva placidamente. Sembrava quasi un bambino dal sorrisino che aveva stampato in viso.
«Karl!» tuonò Van Helsing. «Svegliati, su!»
«Ancora qualche minuto, Van Helsing...»
«No, alzati adesso. O se preferisci possiamo lasciarti qui. Krista può prendere il tuo cavallo.»
Karl si alzò in fretta, lamentandosi che Van Helsing era troppo cattivo. Rimasi in disparte mentre i due uomini si affannavano a preparare le loro cose. Ad un certo punto Karl inciampò, rovinando davanti ai miei piedi. Io risi e lui si rialzò rosso in viso, borbottando qualcosa tra sé. Van Helsing rise e mormorò: «Sempre il solito, eh?»
«Si, si. Certo.»
Una volta pronti, montammo a cavallo e partimmo verso la Transilvania, dalla parte opposta rispetto a dove ci trovavamo noi. L'idea di venire scarrozzata avanti e indietro ormai non mi disturbava più: non avevo dove andare e Karl e Van Helsing erano le uniche persone che avrebbero potuto proteggermi.
«Perchè torniamo indietro? Non voglio andare in Transilvania!» si lamentò Karl.
«Perchè Krista potrebbe essere una diretta discendente di Dracula, no?»
«Appunto! Dovremmo stare alla larga il più possibile dalla Romania.»
«Karl, proprio tu dici così? Sei il più intelligente tra noi due, dovresti capire.»
In pochi secondi Karl raggiunse la nostra stessa conclusione e inorridì sonoramente.
Io e Van Helsing scoppiammo a ridere, divertiti dalla faccia terrorizzata di Karl.
L'inverno ormai stava per arrivare e spesso dovemmo cambiare strada perchè i sentieri erano bloccati dalla neve. La mia veste era troppo sottile e consunta dal viaggio e, per quanto caldo potessero fare i mantelli prestatimi dai miei compagni, mi venne una tosse molto pesante. Karl e Van Helsing non stavano meglio.
Alla fine decidemmo che non potevamo continuare così. Ci fermammo in una cittadina di cui non ricordo il nome, molto vicina a Berlino.
Mentre Karl comprava generi alimentari, Van Helsing ed io andammo da un sarto.
L'uomo dietro il bancone era, se possibile, più magro di un palo del telegrafo. La barba e i baffi erano grigi e i pochi capelli che aveva erano ispidi e bianchi.
Si rivolse a noi in tedesco, ma io puntualizzai che il mio compagno non lo capiva. L'uomo allora si rivolse a noi in un italiano molto stentato.
«In cosa posso esservi utile?» domandò annoiato, senza nemmeno smettere di sfogliare il giornale. Sembrava abituato a ripetere quella frase all'infinito.
«Avrei bisogno di tre mantelli invernali molto pesanti e di abiti da viaggio per la mia amica» rispose Van Helsing. Solo allora il sarto alzò lo sguardo su di noi. Dopo avermi osservato da capo a piedi ed aver assimilato nella sua mente ogni mia curva, portò i mantelli a Van Helsing e poi mi condusse in un'altra stanza, attigua a quella con il bancone.
«Qui ci sono vestiti invernali adatti a quelli che avete richiesto», mi disse. «Provane alcuni e, se servirà, farò delle modifiche.»
Consapevole del denaro scarso che avevo a disposizione scelsi capi abbastanza pesanti ma poco costosi. Mi sentii in imbarazzo per la mia vanità: la scelta era molto vasta e impiegai più di un ora. Provai numerose combinazioni e Van Helsing, seduto su un divano vecchio e sporco vicino al bancone, osservava pazientemente elargendo commenti. Alla fine risolsi per un paio di pantaloni lunghi e neri, stivali di pelle con un po' di tacco e un corpetto di pelle nero anch'esso, ai quali accostai una camicia bianca con le maniche a sbuffo. Non erano necessari cambiamenti di alcun genere e, soddisfatta di aver speso poco, indossai il mio mantello e trotterellai al fianco di Van Helsing lungo la strada fredda. Dovevamo apparire strani, a giudicare dalle facce dei passanti: lui era alto, con le spalle larghe e l'aspetto di uno che le aveva viste tutte, mentre io ero bassina, minuta e con lo sguardo stupito. Come biasimarmi? Non ero mai uscita dal mio villaggio e, per quanto avessi letto, lo scritto è molto diverso dalla realtà.
All'improvviso Van Helsing si fermò ed io feci altrettanto.
«Ho pensato che questo potrebbe esserti molto utile. Viaggiando in questi boschi non sappiamo in cosa possiamo imbatterci.»
Abbassai lo sguardo su ciò che Van Helsing mi porgeva: un pugnale sottile e lavorato con arte, la lama decorata da strani disegni.
«Tu scherzi. Non sarei capace di usarlo nemmeno se avessi voglia.»
«Lo so, ma non si sa mai.»
Mi ero aspettata di tutto tranne che “lo so”. Presi il pugnale e me lo legai in vita.
«Grazie.»
Van Helsing annuì e ci incamminammo di nuovo verso la piazza, dove un Karl parecchio sulle spine ci stava aspettando vicino ai cavalli. Affrettammo gli ultimi metri correndo verso di loro appena in tempo per ricevere un timido rimprovero.
«Dove eravate finiti??? Vi sto aspettando da un'ora!»
Io e Van Helsing ci scambiammo uno sguardo d'intesa.
«Stavamo combattendo contro un mostro a tre teste» rispose Van Helsing.
Karl parve offeso. «Non c'è bisogno di prendere in giro! Oh...» aggiunse sorpreso, guardandomi. «Beh, complimenti. Non stai male.»
Io lo superai in fretta per nascondere il rossore. «Allora...» dissi per sviare il discorso, «Cosa facciamo? Ripartiamo subito oppure ci fermiamo una notte qui?»
«Io credo che ci siamo meritati tutti una notte di riposo.»
Karl sospirò di sollievo. «Meno male, non ne potevo più! Quello stupido cavallo è così scomodo!»
L'animale, per tutta risposta, gli diede una botta sulla schiena col muso. Indispettito, Karl grugnì qualcosa che somigliava molto ad un insulto e si diresse verso una locanda, trascinandosi dietro il suo destriero. Io lo seguii e Van Helsing chiuse il corteo col suo cavallo.
 
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view post Posted on 12/9/2009, 17:16




Exposition Universelle
Entrammo nell'unica locanda della cittadina. Il locale era illuminato da poche e fioche candele ed era semivuoto. Mi ricordava la bettola del mio paese più che una locanda.
Van Helsing si diresse al bancone e chiese una camera. L'oste, un uomo grasso e col viso paonazzo, lo guardò per un istante e si rimise a lavare un boccale.
Per la prima volta lessi la sorpresa nello sguardo di Van Helsing. Ancora oggi maledico lo scarso interesse per le lingue neolatine che sembra avere la mia gente. Io alzai gli occhi al cielo e mi diressi a passo rapido e deciso verso il banco. In tedesco chiesi due camere per quella notte, le più economiche che avessero, e un tavolo per la cena. L'oste fece alcune osservazioni che parvero divertirlo molto riguardo ad una donna in viaggio con due uomini, di cui uno un frate. Non raccolsi le provocazioni e ripetei la mia richiesta. Con un gesto di noncuranza, l'oste mi consegnò due chiavi di metallo e disse che per il tavolo potevamo sederci dove trovavamo.
Io ringraziai e consegnai una delle due chiavi a Van Helsing e mi misi l'altra in tasca.
«Pagheremo domani mattina, immagino. Andiamo a sederci, sono stanca.»
Prendemmo posto in un tavolo appartato, vicino alla finestra. Una donna dall'età indefinibile venne a prendere l'ordinazione. Non ricordo cosa mangiammo io e Van Helsing, ma rammento che Karl chiese un minestrone dal sapore orribile. Quella sera assaggiai per la prima volta la birra.
«Oddio... è... oooh...» commentai.
Van Helsing rise di gusto e Karl sogghignò. Anche io sorrisi, un po' imbarazzata.
In una pausa silenziosa potei soffermarmi sul discorso di due uomini al tavolo vicino al nostro. Uno dei due era francese, si capiva dall'accento, ma parlava in tedesco con un uomo del posto. La loro conversazione era molto interessante.
«Avete sentito?» domandai, piena di entusiasmo.
«Che cosa?» chiese Karl.
«A Parigi tra poco ci sarà un'Esposizione Universale!» esclamai.
«Veramente?» chiese Van Helsing interessato.
«E' vero, l'avevo sentito dire. Un architetto francese sta lavorando ad un'enorme torre di metallo.»
Io lo guardai scettica. «Una torre di metallo?»
Van Helsing annuì. «Si. La stavano costruendo già l'anno scorso. Mi trovavo a Parigi per lavoro.»
«Già...» disse Karl, alzando un sopracciglio. «Quando hai distrutto il rosone di Notre Dame...»
Io lo guardai scandalizzata. «Non ci credo. Ti rendi conto? Era del XIII secolo, vecchio di...»
«Seicento anni, lo so!» Van Helsing sbuffò. «Me l'hanno già rinfacciato almeno cinque volte.»
A quest'affermazione seguì un istante di silenzio. Fui io a rompere la quiete.
«Come dev'essere bello...» commentai, con una punta di desiderio nella voce.
Karl mi sorrise. «Quando anche questa storia inutile sarà conclusa, magari potremmo andarci.»
«Perchè inutile?» chiese Van Helsing.
«Cosa?»
«Hai detto “storia inutile”. Perchè?»
«Perchè, se fosse stato per me, a quest'ora sarei ancora in viaggio verso casa.»
Io sbuffai. Ripetevano quel battibecco quasi ogni sera da almeno una settimana. Karl non voleva tornare in Transilvania, lo ripeteva fino alla noia. Immaginai che fosse a causa di quel che aveva vissuto. Van Helsing mi aveva raccontato che Karl era un trovatello, allevato dai Cavalieri del Santo Ordine in un'abbazia romana. Non era mai uscito da lì, rifugiando la sua curiosità nei libri e nei suoi esperimenti: aveva inventato lui tutte le armi che Van Helsing utilizzava. Il suo primo viaggio era stato quello per trovare e sconfiggere il conte Dracula. Credo che fosse normale che, inconsciamente, avesse attribuito tutto lo stress accumulato in quel periodo al luogo stesso, ossia la Transilvania. I miei compagni continuarono a discutere per almeno dieci minuti.
Alla fine esclamai: «Sembrate una vecchia coppia di sposi, la volete finire?»
Karl incrociò le braccia, imbronciato, e Van Helsing sospirò.
«Credo sia meglio ritirarci» disse. «Per oggi è stato sufficiente.»
Salimmo al piano di sopra e cercammo le nostre stanze. Una volta entrata nella mia, non persi tempo nemmeno a svestirmi: mi lanciai letteralmente sul letto e crollai addormentata.
Mi svegliai che era ancora buio, a causa di alcune grida nel corridoio.
Mi alzai per vedere cosa fosse successo. Aprii la porta e vidi Karl discutere animatamente con l'oste nella lingua incomprensibile che già gli avevo udito pronunciare. Provai un filo di invidia nei confronti dell'oste, che conosceva quell'idioma a me sconosciuto.
«Che succede?» domandai, incuriosita.
Karl si volse verso di me. Era furioso. «Chiedilo a lui, che succede! L'ho trovato che frugava tra le bisacce nella nostra stanza.»
Guardai l'oste incredula. «E Van Helsing dov'è?»
«E' andato a farsi un giro. Era così arrabbiato che credevo l'avrebbe ammazzato!»
L'oste, che ci aveva guardato senza capire una parola di quel che dicevamo, esclamò: «Oh, heul doch! Das prinzesschen...*». Seguì una serie ininterrotta di insulti. Io risposi per le rime, presi Karl per un braccio e lo trascinai in camera mia.
Sentimmo i passi pesanti dell'oste che scendevano le scale e sospirammo.
«Che vi siete detti?» chiese Karl, curioso come al solito.
«Beh, secondo lui tu sei un prete lussurioso, io una puttana e Van Helsing un pazzo assassino.»
Sbuffai, incrociai le braccia e abbassai lo sguardo. Notai allora un particolare: le gambe di Karl erano scoperte dal ginocchio in giù ed era scalzo. Nel buio della stanza aguzzai la vista e mi accorsi che aveva addosso solo una lunga camicia azzurra, pure sbottonata. Sorrisi divertita e dissi: «Bel vestitino. Lo metti per andare a ballare?»
Osservandolo meglio, mi avvidi che avevo ragione all'inizio: era davvero alto e snello. Se non fosse stato un malo pensiero, avrei potuto dire che era molto bello.
Karl arrossì e ribatté: «Stavo dormendo. Non avresti nemmeno dovuto uscire, poteva essere molto pericoloso. Avrebbe potuto essere armato.»
Io raddolcii il sorriso. «E' vero, poteva esserlo. Sei stato coraggioso ad affrontarlo. Hai dimostrato di essere risoluto, quando serve.»
Karl abbassò lo sguardo e sorrise. Se non fosse stato per il buio, avrei giurato che stesse arrossendo. «Si, beh... C'era Van Helsing, comunque.»
Io annuii. Mi appoggiai alla porta e mi lasciai scivolare a terra. Avevo davvero sonno. Karl dovette accorgersene, perchè sorrise dolcemente e disse che avrebbe tolto il disturbo. Mi alzai per farlo passare e, quando stava già chiudendo la porta, lo fermai.
«Karl?»
«Si?»
«Che lingua è quella che usavi con l'oste? Te l'ho già sentita parlare con Van Helsing. Che cos'è? Da dove viene?»
Karl rispose: «Oh, è inglese. Hai mai letto qualcosa di William Shakespeare?»
Io avevo letto precisamente cinque opere di Shakespeare, e tre raccolte di sue poesie. Annuii e lui riprese: «Ecco, è la sua lingua.» Detto ciò, Karl chiuse la porta. Io mi sdraiai e ripresi a dormire.

*Oh, silenzio! Questa principessina...
 
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view post Posted on 12/9/2009, 17:47




Sette di Denari
Il giorno dopo ce ne andammo senza pagare. L'oste ebbe almeno la furbizia di non protestare.
Van Helsing sembrava ancora arrabbiato e camminava spedito, trascinandosi dietro il cavallo, così io e Karl lo seguimmo rimanendo un po' indietro, faticando a stargli alle costole. Il freddo era pungente, ed io ringraziai di non avere più addosso quella specie di tela grezza che era la mia veste. Stretta nel mantello, continuavo a soffiare sulle mani nel tentativo di scaldarle. Appurato che era perfettamente inutile, le lasciai scivolare fuori dal mantello.
Chiesi a Karl di parlarmi dell'inglese. Lui sembrava molto divertito dal fatto che questa lingua mi incuriosisse così tanto, come se fosse una specie rara. Mi stava recitando una poesia in inglese quando mi sentii afferrare il polso. Emisi un sottile lamento ed istintivamente tentai di divincolarmi, ma la stretta era ferrea. La mano era quella avvizzita di una donna vestita di nero, vecchia e brutta.
Karl fermò con un grido Van Helsing, che subito tornò indietro.
«Cosa c'è?» domandò.
La vecchia parlò con voce tremolante. «Siete voi gli stranieri giunti ieri in questa città?»
Io e gli altri ci scambiammo un'occhiata. «Si, siamo noi. Perchè?» rispose Karl.
«Venite, venite. Ho una cosa per voi...» mormorò la vecchia.
«Mi dispiace» rispose Van Helsing. «Siamo un po' di fretta e non abbiamo tempo. Perdonateci.»
Stava già per incamminarsi di nuovo, ma la vecchia lo richiamò. Non aveva ancora mollato la presa sul mio braccio e non sembrava volerlo fare.
«Fermo, Van Helsing» disse risoluta la donna.
Van Helsing si bloccò di colpo e si volse. «Come conosci il mio nome?» chiese in un sussurro.
«Oh, io so tutto di te, Van Helsing. Di te, di Krista Maria e del fraticello italiano chiamato Karl. Ora ascolterete ciò che ho da dirvi?»
Karl sembrava oltremodo spaventato. Io annuii e anche Van Helsing fu d'accordo.
«Ascoltatemi. So quali sono le vostre intenzioni. Invertite la marcia. Non andate nel luogo nel quale siete diretti. Non sarete i benvenuti.»
Karl si fece il segno della croce. Io non risposi, talmente ero impegnata a scollarmi di dosso la mano ruvida e fredda della vecchia. Van Helsing parve valutare le parole della donna.
«Davvero? Ben, ne terremo conto. Andiamo.»
«Fermi!» intimò la vecchia. «Non gettate all'aria quel che vi dico! Non tornate là dove il mostro cessò di vivere... Non troverete altro che fumo e cenere laggiù.»
Finalmente riuscii a liberarmi dalla presa ferrea della donna. Ero sconcertata da come una donna così vecchia e grinzosa potesse essere così forte.
«Vi ringraziamo per la premura» disse Van Helsing. «Terremo conto del vostro consiglio. Karl, Krista, andiamo.»
La donna sembrò indispettita dalla risposta e mi mise in mano una carta da gioco molto grande, con sette monete d'oro disegnate sopra.
«Non dimenticare quello che ho detto, ragazza. Ne va della tua vita.»
Io lo guardai spaventata senza sapere cosa risponderle. Karl mi spinse gentilmente nella direzione dove era sparito Van Helsing e lo raggiungemmo svelti. Ero turbata: quella vecchia signora non poteva aver indovinate tutte quelle cose. Qualcuno doveva averle raccontato di noi. Ma chi? Nessuno sapeva delle nostre intenzioni. Era forse una veggente? Una volta al villaggio dove vivevo erano arrivati gli zingari, tra i quali molte donne che facevano le carte o leggevano le linee delle mani. Mi chiesi se quella vecchia fosse una di loro. Per di più, c'era da esaminare il significato della carta. Era di un materiale spesso e rigido, lucido e liscio, ed era tre volte più grande di una normale carta da gioco. Quale significato nascondesse, io non lo sapevo. Lungo il tragitto a piedi fino alle porte della città interrogai Karl e Van Helsing, ma anche loro non avevano idea di cosa fosse.
«E' possibile che i denari rappresentino qualche cosa» azzardò Karl. «Magari simboleggiano sette cose attinenti al nostro viaggio.»
«Oppure non significa niente e la vecchia ti abbia dato un oggetto qualsiasi...» commentò invece Van Helsing. «Non penserete che una carta da gioco polverosa possa essere collegata alle nostre ricerche!» esclamò, montando a cavallo. «Se fossi in te, getterei via quel pezzo di cartone. È solo un peso inutile.»
Van Helsing mi issò a cavallo dietro di lui e ripartimmo al galoppo, diretti verso est.
Nel frattempo, mi interrogavo sui vari significati che quella carta poteva assumere. Se Karl aveva avuto un'intuizione corretta, c'erano sette cose con qualcosa in comune con la nostra missione. Potevano essere le sette generazioni che c'erano tra me e l'ipotetico figlio del conte Dracula, anche se era poco probabile. Avrei potuto ragionarci più tardi, dal momento che non avevo la minima intenzione di buttare la carta, come Van Helsing aveva suggerito: che fosse utile o no, era un oggetto abbastanza strano da meritare d'essere conservato.
Stavamo morendo letteralmente di freddo. Aveva cominciato a nevicare e i cavalli non riuscivano a procedere, perciò dovevamo tirarli a mano. Karl non stava in piedi dal gelo, abituato com'era ai climi miti dell'Italia centrale. Il saio non lo aiutava, essendo privo di protezioni sulle gambe, anche se gli permetteva di coprirsi bene il capo. Io avanzavo a tentoni perchè non riuscivo a tenere gli occhi aperti e più di una volta andai a sbattere contro la schiena di Van Helsing che camminava davanti a me. Anche lui non stava meglio di noi: si teneva stretto nel mantello e camminava sbattendo i piedi per scaldarli. Gli animali non ne volevano sapere di muoversi ed era una vera fatica costringerli ad avanzare. Eravamo al limite. Con sollievo pensai che, se avessi avuto ancora la mia veste bianca, molto probabilmente sarei morta.
«E' sempre così in Germania?» gridò Karl per sovrastare il rombo del vento.
«Si» urlai io. «Solo che di solito, quand'è così, non esco di casa!»
«Dobbiamo trovare un villaggio!» gridò Van Helsing.
«Non ce ne sono» risposi, sgolandomi. «Non abbastanza vicini da raggiungerli vivi! Se torniamo sul sentiero battuto è possibile trovare una locanda.»
«Sarà piena stipata!» strillò Van Helsing. «Dove dormiremo, nella stalla?»
Continuammo a discutere per un po', senza accorgerci che, nel frattempo, ci eravamo fermati. All'improvviso Karl ci interruppe gridando: «Possiamo almeno provare? Io tra un po' muoio!»
Van Helsing e io ci interrompemmo bruscamente.
«Si...» disse lui. «Possiamo provare, tentar non nuoce.»
Tornammo sul sentiero e proseguimmo per circa un'ora. Karl non riusciva più a camminare perchè il freddo gli impediva di muovere i tendini, così montò sul suo cavallo e cominciai a tirare io l'animale, dato che fino ad allora non avevo fatto niente. Non pensavo fosse tanto faticoso. Ad un certo punto mi appesi alle briglie e (incredibile!) il cavallo riuscì a sostenermi, tanto il freddo lo rallentava. Questo espediente ci permise di scaldarci con qualche risata.
Quella notte ho seriamente temuto che Karl morisse. Van Helsing invece temeva che saremmo morti tutti. Invece apparve davanti a noi l'ombra scura di una taverna, riconoscibile per le luci alle finestre. Ci si stagliò davanti come Gesù Cristo si stagliò davanti a Maria Maddalena, credo. Con un ultimo sforzo titanico tirammo i cavalli fino alla stalla della locanda. Aiutammo Karl a smontare e lo sostenemmo fino all'entrata. Una volta dentro, il calore improvviso ci fece cedere le ginocchia e crollammo tutti e tre lunghi distesi per terra. Chiedemmo una stanza, perchè era impensabile poterne avere due in una notte come quella. C'erano un solo letto e un divano. Uno di noi doveva dormire sul pavimento. Cedemmo a Karl il materasso: gli era venuta la febbre e delirava. Continuava a dire di portargli del vino perchè doveva lavare l'uva.
Van Helsing uscì per andare a chiedere aiuto al locandiere, che parlava inglese. Io mi sedetti su una sedia vicino al letto. Karl stava dormendo. Gli scostai i capelli biondi dalla fronte per sentire la temperatura: era bollente, così bollente da sembrare fuoco. Preoccupata, gli strinsi la mano. Mi ero affezionata a quel frate, mi piaceva. Era molto gentile con me e sopportava tutti gli scherzi di Van Helsing senza battere ciglio. Aveva l'innocenza di un bambino, a causa delle sue poche esperienze. Era una bravissima persona e, non sapevo perchè, era un'emozione ogni volta che ci rivolgevamo la parola. Spesso arrossivo a causa dei timidi complimenti celati nelle sue frasi.
Sorrisi mestamente. «Oh, Karl. Se tu ti vedessi ora credo... Beh, credo che ti spaventeresti molto.»
In quel momento Karl spalancò gli occhi. «Me l'avete portato, il vino?» domandò.
«Van Helsing è... ehm... è andato a prenderlo.»
«Bene, bene. Bravo...» mormorò, riaddormentandosi. Sospirai, molto preoccupata.
In quel momento sentii dei passi nel corridoio. Sarebbe stato disdicevole per un frate farsi vedere con una donna a stringergli la mano, così con un salto mi lanciai letteralmente sul divano. Ero piuttosto scomposta quando Van Helsing entrò, seguito da un uomo biondiccio e dall'aspetto un po' malato. Era un dottore francese che aveva riparato lì per il nostro stesso motivo e che aveva già curato tre persone ridotte come Karl, mi spiegò Van Helsing.
«Allora potete curarlo?» domandai io.
«Ancora non lo so» rispose il medico. «Non sembra versare in gravi condizioni, ma non è mai un bene sottovalutare i problemi di salute. Avete fatto bene a chiamarmi: senza cure o attenzioni morirebbe di certo.»
L'uomo ci chiese di uscire per rispettare l'intimità del paziente, così Van Helsing ed io ci sedemmo in corridoio.
«Speriamo bene...» mormorai.
«Oh» rispose lui. «Non devi preoccuparti. Karl ne ha passate così tante in Transilvania che nemmeno te l'immagini. Tornerà più sano di prima.»
 
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view post Posted on 12/9/2009, 18:38




Sonnambula
Il medico uscì poco dopo dalla stanza e ci disse che Karl non era più in pericolo di vita, ma che per qualche giorno non poteva viaggiare, perchè in quel caso sarebbe morto di sicuro. Ci disse di fargli delle spugnature di acqua fredda sulla fronte e sul torace ogni quattro ore, mentre per il resto era sufficiente il riposo. Io e Van Helsing entrammo nella stanza e sospirammo.
Io mi lasciai scivolare a terra, ai piedi del letto di Karl, e osservai Van Helsing. Sembrava stanco, aveva gli occhi pesti e gli tremavano le mani. Si lasciò cadere sul divano come un sacco.
«Stai bene?» chiesi io.
«Si, sono... sono soltanto stanco.» Sospirò. «Mi sento un po' in colpa, sai?»
Io lo guardai sorpresa. «Per cosa?»
Lui indicò Karl con un cenno del capo. «E' stato per colpa mia che abbiamo invertito la marcia. È stata una mia decisione e non ho voluto sentire ragioni. Se davamo retta a lui a quest'ora eravamo già in Francia. Là non è così freddo e probabilmente non si sarebbe ammalato.»
Per la prima volta, Van Helsing mi sembrò triste. Fu una cosa strana. Viaggiavamo insieme da quasi un mese ed avevo imparato a conoscerlo abbastanza bene, ma non l'avevo mai visto così. Mi alzai e mi sedetti accanto a lui.
«Non credo che sia colpa tua. Dopotutto, se non avesse assolutamente voluto venire poteva proseguire per conto suo.»
«Non ne sarebbe in grado. Si sarebbe perso dopo tre giorni di marcia.»
Restammo in silenzio per qualche minuto. Forse Van Helsing aveva ragione. Forse Karl si sarebbe perso. Capii quello che Van Helsing stava provando solo cercando di mettermi nei suoi panni. Da quel che mi avevano raccontato, Karl non voleva andare in Transilvania nemmeno la prima volta, ma Van Helsing aveva insistito tanto e alla fine il frate aveva ceduto. Non so cosa avesse passato Karl, ma poco prima Van Helsing stesso mi aveva detto che ne aveva viste tante. E ora, sempre per decisione di Van Helsing, Karl si trovava a dover di nuovo tornare laggiù, lontano da casa sua, perchè sapeva benissimo che non avrebbe potuto andare a Roma da solo.
«Sai, credo che Karl sia troppo buono» disse Van Helsing con un sorriso amaro.
Sorrisi anche io. «Si, credo che tu abbia ragione. Avrei qualche cosa da dire in proposito, vero Van Helsing? Che mi dici?»
«Erano scherzi innocenti!» esclamò, finalmente sorridendo come si deve. «Ma credo che dopo stanotte lo lascerò stare...»
«Non farlo: si diverte anche lui, credo. Anche se dà segni di insofferenza!» risi io.
Ci alternammo per le spugnature tutta la notte e il giorno dopo Karl stava molto meglio. Non ricordava assolutamente niente di quello che era successo, sapeva solo di essere stato male. Noi evitammo accuratamente di dirgli che era stato in pericolo per alcune ore: gli sarebbe venuto un arresto cardiaco. Fuori non nevicava più, anzi era una bella giornata. Van Helsing e Karl ripresero a discutere fin dal mattino, perchè uno voleva alzarsi e l'altro cercava di impedirglielo. Io rimasi seduta sul divano a godermi la scena con un sorrisetto. Pensai che, per fortuna, avrei potuto assistere a discussioni come quelle ancora per un po'. A parte questo, Van Helsing fu straordinariamente premuroso con Karl nei giorni seguenti. Nonostante lui stesse molto meglio, Van Helsing insistette per non farlo alzare neanche una volta, eccezion fatta per l'uso del bagno. Per un po' sembrammo davvero una famiglia: una strana ma felice famiglia. Avrei potuto stare ore a guardarci riflessi nel grande specchio appeso sopra al camino. Per un periodo fui felice veramente. Mi stavo lentamente rendendo conto di quanto volessi bene a Karl e a Van Helsing: erano tutto per me, dato che avevo perduto tutto. Non che prima fosse diverso; dalla morte di mio padre, infatti, ero rimasta sola al mondo. Loro non mi giudicavano, anzi mi ero da un po' accorta che Van Helsing mi trattava come se fossi sua sorella. Era come se si sentisse veramente mio zio. Anche Karl mi voleva bene, ma in un modo diverso, che allora non seppi definire. Durante quei pochi giorni ridemmo abbastanza da compensare le tristi settimane che seguirono. Erano passate cinque lune da quando eravamo arrivati alla locanda ed era oramai ora di ripartire. Visto che la locanda ora aveva molti meno ospiti prendemmo una stanza per me, anche se per una sola notte. Mi sedetti sul letto e riflettei su quanto ho appena scritto. Udii una risata oltre la parete e sorrisi. Avevo riconosciuto il timbro di voce di Van Helsing. Mi coricai indossando la mia vecchia veste, declassata ormai da tempo a camicia da notte. Osservandomi in uno specchio, notai come quell'abituccio risaltasse le mie curve. Non ero più abituata a vestiti di quel genere, per questo mi sorpresi. Rimasi compiaciuta dalla mia immagine riflessa.
Sospirai. «Dracula non avrebbe mai potuto guardarsi» mormorai mestamente. Mi coricai e mi addormentai profondamente. Per la prima volta da alcune settimane sognai.
Mi trovavo in una grande casa, un maniero come non avevo mai visto. Tutto era immerso nell'oscurità. Camminavo silenziosa, come una leonessa a caccia. Non avevo lume ma vedevo ogni cosa con innaturale nitidezza. Un tuono risuonò all'esterno della casa e un lampo illuminò a giorno il corridoio. In fondo, una finestra dava sull'esterno. Osservai attraverso i vetri chiusi e non vidi terrazzo: sotto di me c'era il vuoto più profondo. Normalmente mi sarei ritratta, spaventata, ma quella vista mozzafiato mi attraeva e mi impauriva al tempo stesso.
Sentii una mano fredda posarmisi sulla spalla, ma chissà perchè non mi spaventai. Anzi, era come se sapessi di non essere sola. L'uomo (questo era nel mio incubo) mi mormorava parole suadenti. La sua voce mi fece rabbrividire, pareva provenire dall'Inferno, eppure avrei potuto rimanere ad ascoltarla per ore ed ore. Mi parlò del vento, e di come si potesse volare su di esso. Mi disse che lui ci riusciva e che avrei potuto farlo anch'io, se solo l'avessi voluto con tutta me stessa. Si trattava di aprire i vetri, saltare e allargare le braccia, senza esitazione né timore, e il vento avrebbe fatto il resto. Cercai di oppormi debolmente, ma no, le sue parole erano come miele, doveva essere per forza nel giusto. Fui certa di quel che facevo. Poggiai la mano sulla serratura della finestra, mentre quella dell'uomo si ritirava.
«Krista!» mi sentii chiamare, ma la voce sembrava provenire da un altro mondo. Tuttavia io esitai e feci per voltarmi verso il corridoio, ma l'uomo mi trattenne.
«Devi volare, Krista! Devi farlo adesso» mormorò risoluto.
«Krista no! Che cosa fai?» gridò di nuovo la voce. Mi sembrava di conoscerla, eppure non ricordavo a chi appartenesse né ero certa di udirla veramente.
Aprii la maniglia della finestra. La pioggia inondò il mio viso come un fiume in piena. Salii sicura sul davanzale e sorrisi, realmente felice di ciò che stavo per fare.
«No! No! Krista!»
Improvvisamente mi sentii afferrare per un braccio e spalancai gli occhi. Che ci facevo lì? Urlai di terrore quando vidi che ero davvero sul davanzale di una finestra. Per l'emozione improvvisa persi l'equilibrio e, se Karl non mi avesse tirata immediatamente verso di sé prendendomi in braccio, probabilmente sarei morta. Era dunque sua la voce che nel sogno cercava di trattenermi.
Ero così spaventata da dimenticarmi che l'uomo che avevo di fronte era un frate e scoppiai il lacrime senza ritegno, stringendomi a lui.
«Coraggio...» mi confortava Karl. «Coraggio, è finita ora... Sei al sicuro. Ci sono io.»
Io continuavo a piangere e Karl mi strinse, nel tentativo, peraltro inutile, di calmarmi. Credo di avergli infradiciato tutta la camicia, quella sera.
«Vieni con me, ti riporto a letto.»
Fu come una secchiata d'acqua gelida. «No!» strillai. Quello che doveva essere un grido era una vocina rauca e gracchiante, probabilmente dovuta allo shock. «No, non voglio più dormire, non voglio!» ribadii. Ero visibilmente spaventata a morte.
«Non ti preoccupare! Non dormirai, se preferisci. Ho detto che ti porto a letto, non che ti farò dormire. Stai tranquilla Krista, per stanotte non succederà nient'altro.»
Tornammo in camera mia ed io mi sedetti sul letto, imbarazzata. Mi ero resa conto solo ora di aver pianto come una bambina, e me ne vergognavo. Karl rimase in piedi davanti a me. Aveva di nuovo la camicia dell'altra notte.
«Non voglio turbarti, quindi se non vuoi rispondermi va bene» esordì lui. «Ma dimmi, che cos'hai visto esattamente che ti ha fatto fare tanta strada?»
«Strada?»
«E' lunga dalla tua stanza alla finestra.»
Io annuii. «Non lo so con precisione» mormorai. Gli raccontai il mio sogno e Karl sembrò pensieroso. Rimase in silenzio per parecchio tempo, come riflettendo su quel che gli avevo detto. Alla fine mormorò qualcosa che non capii, perchè aveva parlato troppo piano, e quando gli chiesi di ripetere lui non rispose. Decisi di cambiare argomento.
«Devo ringraziarti, Karl. Mi hai salvato la vita. Di nuovo.»
Lui sorrise e abbassò lo sguardo, imbarazzato. «Dovere...» replicò, poco convinto.
«Ma come hai fatto a trovarmi? Voglio dire, di notte non dovresti dormire?»
Karl alzò le spalle. «Volevo sgranchirmi le gambe. Quando sono passato da lì eri davanti alla finestra. Sembravi in trance! Ti ho salutata, ma non mi hai risposto. Ho pensato che stessi male, così ho gridato il tuo nome. Ho visto che ti voltavi, ma ti sei girata di nuovo verso la finestra e hai messo la mano sulla serratura. Ho capito che eri sonnambula e ho pensato al peggio. Ho aspettato per vedere cosa avresti fatto. Quando sei salita sul davanzale... Non puoi capire cosa ho provato, Krista. Ho corso verso di te e ti ho presa appena in tempo.»
Io annuii. Ne avevo abbastanza per quella notte. Ero molto stanca, ma non volevo che Karl se ne andasse. Avevo paura di restare sola. Mi scusai non so quante volte per averlo preoccupato, ma lui sembrava solo felice in quel momento. Alla fine dissi: «Domani diremo a Van Helsing del tuo atto di coraggio e sono sicura che rimarrà colpito.»
«Peggio: non ci crederà!»
«Fidati, lo farà.»
«Perchè?»
«Credo che l'uomo del sogno fosse Dracula.»
 
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view post Posted on 12/9/2009, 18:53




Lei ti Guarda
Il giorno dopo raccontammo tutta la vicenda a Van Helsing. Lui rimase molto turbato, specialmente dalla mia conclusione sull'identità dell'uomo misterioso.
«Sono convinto che sia Dracula» disse dopo il mio resoconto.
«Come fai ad esserne così sicuro?» chiese Karl. «Voglio dire, è la prima cosa che ho pensato anch'io, ma andiamo! Dracula è morto! Morto, va bene?» Sembrava voler convincere più se stesso che Van Helsing e me.
«Beh, nei sogni è sempre così, anche se le cose non sono come nella realtà sei sicuro di cosa sono. Mi spiego meglio: se stanotte sognassi l'abate ma lo chiamassi Karl, sarebbe perchè in quel momento sarei certo di parlare con te, perchè saresti tu il mio interlocutore ma avresti un aspetto diverso. Ho detto giusto, Krista?»
Io annuii.
«Quindi» riprese Van Helsing, «Se Krista sa che l'uomo del sogno era Dracula, allora è senz'altro Dracula. Il che ci porta ad un altra domanda.»
«Ossia?» domandai.
«Ossia perchè un uomo morto ha cercato di ucciderti?» concluse Karl. «I morti non possono nuocere ai vivi, a meno che...»
«A meno che non siano tornati dalla morte!» esclamai io inorridita. «E lui l'ha già fatto una volta...»
«Potrebbe averlo fatto di nuovo.»
«Adesso sappiamo alcune cose: Dracula è tornato, vuole uccidere Krista anche se non sappiamo perchè e con ogni probabilità non cesserà di tentare finché non ci sarà riuscito. Il punto ora è: come lo fermiamo? E perchè vuole ammazzarti?»
Io non replicai. Seduta ai piedi di un albero, ormai lontana dalla locanda, osservai i miei stivali mentre riflettevo. Avevamo tante domande e nessuna risposta. Mi chiesi cosa volesse Dracula da me. Non avrei potuto nuocergli neppure volendo, se i racconti di Karl sulla potenza fisica dei vampiri erano corretti. Tolsi un po' di fango dal tacco dei miei stivali. La luna era ormai alta nel cielo e Karl mise le rocce per un fuocherello da campo per preparare la cena. Ero così assorta nei miei pensieri che non mi accorsi che mancava qualcuno.
«Dov'è Van Helsing?» chiesi, tirandomi su.
«E' andato a fare un giretto qui intorno...» rispose Karl, cercando invano di produrre una scintilla da due pietre focaie. Io sorrisi e mi inginocchiai accanto a lui, porgendogli il mio acciarino nuovo, che avevo trovato abbandonato sul cassettone della mia stanza quella mattina.
«Tieni, usa questo. Vado a cercare Van Helsing.»
Karl mi sorrise e ringraziò. Io mi alzai e uscii dalla radura, scendendo lungo il fianco della collinetta. Trovai Van Helsing dieci minuti dopo, seduto su un masso sull'orlo di un dirupo. Fingendo di non badare al vuoto a pochi metri da lui, lo raggiunsi.
«Disturbo?»
Van Helsing scosse la testa. «Assolutamente.»
Io lo osservai per un po' e dissi: «Sai, non sono mai stata davvero brava in qualcosa. Come i contadini so fare molte cose ma non posso dirmi un'esperta vera in nulla, tranne che in una cosa: sono sempre stata abile nel capire cosa passa per la mente delle persone.»
Van Helsing parve divertito. «Davvero? E nella mia cosa passa?»
«Pensi ad Anna, vero?»
Il suo sguardo divenne immediatamente grave e tacque. Mi dispiaceva vederlo così. Continuai: «Te l'ho già detto, ma lo penso davvero. Lei ti guarda, ti sta guardando proprio in questo momento e, secondo me, non vorrebbe vederti triste. In Transilvania vedono...»
«... un lato positivo della morte, lo so.»
Io annuii, sorridendo. «Esatto. Un giorno la incontrerai di nuovo.»
Lui rise. «Davvero? Quante possibilità ha un uomo di quattrocento anni di morire di vecchiaia?»
Io feci spallucce. «Non si sa mai. E comunque, se non lo fai per te, fallo per Anna: non piangerla, perchè lei non lo avrebbe voluto. Non dico che la sua morte non debba addolorarti; un lutto rattrista tutti. Ma non scivolare nella disperazione. Fidati, lo vedo ogni giorno che passa. Sorridi spesso, ma solo con la bocca, come se fosse un dovere di circostanza. E poi adesso puoi vendicarla.»
Van Helsing mi guardò con severità. «Non l'hai capito? Sono stato io ad ucciderla.»
No, non l'avevo capito, ma non glielo dissi. «Ma per colpa di chi? Chi è la causa prima della tua trasformazione?»
Lui parve rifletterci, poi rispose con un filo di voce: «Dracula.»
Io annuii e capii che forse non avrei dovuto disturbarlo. Era probabile che volesse essere lasciato in pace. Per un attimo mi odiai. Mi allontanai dal masso lasciandolo ai suoi pensieri e, nel tornare al campo, incrociai Karl. Gli feci un cenno e proseguii, fino a trovarmi davanti ad un fuoco scoppiettante.
Sul masso, questo mi raccontarono in seguito, Van Helsing stava riflettendo sulle mie parole. Karl rimase in piedi al suo fianco, come avevo fatto io. Van Helsing parlò dopo un po' con voce risoluta. «Quella ragazza è brava» commentò. «Ha un animo forte e gentile. E poi è una di noi ora. Non possiamo permettere che muoia.»
Karl lo guardò e annuì, facendo intendere di aver capito.
Questo episodio mi fu raccontato solo poco tempo fa, quando decisi di trascrivere i fatti avvenuti in quel periodo, ecco perchè quella notte non capii perchè Karl e Van Helsing si alternassero a fare i turni di guardia. All'inizio pensai fosse perchè avevamo raggiunto una zona pericolosa, ma in quel caso mi avrebbero chiesto di fare la mia parte. Adesso so che era per proteggermi, nel caso Dracula avesse voluto farmi ancora visita nel sonno. Questo però non accadde più, perchè il conte utilizzò altri modi per cercare di rispedirmi al Creatore. Ma di questo parlerò più avanti.
Quella notte fu priva di sogni per tutti noi, cosa che ci portò un notevole sollievo il giorno successivo. Ci rimettemmo in marcia un'ora prima dell'alba, che è anche la più fredda di tutta la giornata. Riportammo i cavalli sul terreno battuto perchè per un po' avremmo potuto seguirlo senza rallentare, permettendoci anzi di galoppare molto velocemente.
Alla partenza ero molto combattuta: non volevo salire dietro Van Helsing come avevo sempre fatto perchè pensavo di averlo infastidito la sera prima (conclusione sbagliata, tra l'altro), ma non volevo nemmeno salire dietro Karl perchè era un frate e non sapevo cosa avrebbe pensato. In più avevo cominciato a pensare strane cose su Karl. Questi pensieri non mi sarebbero parsi tanto perversi se si fosse trattato di un altro uomo o se Karl avesse scelto un'altra occupazione che non prevedesse la castità. Scacciavo ogni volta quelle idee, anche se il mio non era desiderio carnale, lo sapevo bene. Era qualcosa di strano e che non avevo mai provato, a cui non sapevo dare un nome né una definizione. Cercavo di non pensarci, ma ogni volta che lo vedevo o che parlavamo il cuore mi batteva fortissimo, tanto forte che temevo lo udisse. Alla notte, poi, quando non avevo distrazioni alle quali appigliarmi, le fantasie più assurde prendevano possesso della mia mente.
Spesso arrossivo in sua presenza. Bastava una parola o un piccolo gesto per farmi avvampare e subito dovevo correre ai ripari abbassando il volto o sciogliendo i capelli. A volte mi bastava che mi sfiorasse, come quella mattina: mi aveva appena toccato un braccio per augurarmi buon giorno, ma io sussultai ugualmente; Karl pensò di avermi spaventata e si scusò, sorridendo divertito.
Fui distratta dai miei pensieri da Van Helsing.
«Krista, andiamo?»
Li guardai e vidi che erano già a cavallo. Notai come l'animale di Karl fosse più carico, ovvio segno che Van Helsing mi aveva fatto spazio sul suo. Sollevata montai dietro di lui e ripartimmo. Non appena raggiungemmo la strada partimmo ad un galoppo sfrenato. Non lasciammo la strada fino a sera e la riprendemmo il giorno dopo.
Galoppare sembrava divertire Van Helsing oltre ogni dire. Rideva soddisfatto ad ogni ostacolo saltato e ad ogni curva scartata. Io e Karl ci guardammo sorridendo stupiti.
Incontrammo saltuariamente qualche viaggiatore a piedi. Quello che mi stupì era l'assenza totale di diligenze: in quel periodo dell'anno di solito c'era molto movimento per quel che riguardava carrozze e nobili famiglie, perchè si avvicinava Natale e molti partivano per andare a passare le festività con i parenti. Lo dissi a Van Helsing e lui alzò lo spalle; era possibile che non scegliessero quella strada per viaggiare, perchè a quanto pareva non attraversava nessun paese. Io confermai.
Per alcuni giorni non pensai più alla carta con i sette denari, oppressa com'ero da tutti gli altri interrogativi che mi ponevo.
 
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view post Posted on 12/9/2009, 20:07




Confine
Il Natale arrivò e passò senza quasi che ce ne accorgessimo.
Al mio villaggio ci sarebbero stati grandi festeggiamenti, scambi di doni e la messa festiva. Noi ci limitammo ad ascoltare Karl che leggeva qualche passo della Bibbia sulla nascita di nostro signore Gesù Cristo. Eravamo infatti molto concentrati sulla strada da prendere, perchè ormai avevamo raggiunto il confine e ci trovammo presto a dover affrontare un intricato reticolo di vie e sentieri.
Il giorno di Santo Stefano, ovvero il 26 dicembre, ci fermammo davanti ad un palo di legno con ben undici cartelli su di esso. Io non ero troppo utile, dal momento che non avevo più potuto indicare alcuna strada da dopo Berlino, sebbene non avessi mai visto altro in Germania che il mio villaggio: non avevo idea di che strade prendere per raggiungere la Romania.
Karl era con Van Helsing davanti al palo, consultavano insieme una mappa. Il frate continuava ad alzare lo sguardo per osservare la posizione del sole e Van Helsing spostava lo sguardo dalla carta, alle indicazioni, alla carta.
Io tenevo le redini dei cavalli guardando per terra. Quella notte aveva nevicato e la strada era ghiacciata, dovevamo perciò condurre gli animali a piedi.
«Dovremmo puntare verso Praga, secondo me» stava dicendo Karl.
«Non credi che così allungheremo il percorso?» chiese Van Helsing dubbioso.
«No, non se attraversiamo completamente la città. Dobbiamo passare per la Cecoslovacchia per forza, quindi...»
«Ammettiamolo: tornare in Transilvania via terra non è stata una buona idea.»
Li stavo ascoltando per metà, in parte perchè erano un po' distanti da me e in parte perchè ero molto concentrata su un altro suono: un rumore costante e veloce, come un battito d'ali. Cominciai ad inquietarmi, non sapevo perchè. Avevo un brutto presentimento e non sapevo a cosa attribuirlo. La mattinata era uggiosa ed il cielo grigio, il che non aiutava a stare tranquilli. Continuavo a gettare occhiate ansiose verso la boscaglia alle mie spalle, perchè era da lì che proveniva il suono.
Era sempre più vicino.
Improvvisamente, una sagoma in cielo attirò la mia attenzione. Sembrava un uccello e, anche se era molto lontano, avrei giurato che fosse enorme.
«Van Helsing...» chiamai, ma lui era troppo impegnato a parlare con Karl per sentirmi. Intanto l'uccello si avvicinava. «K-Karl?» chiamai ancora.
«Secondo me è la strada più breve» fu la risposta che diede il frate a Van Helsing.
L'essere era sempre più vicino, abbastanza vicino da poter affermare che era veramente gigantesco.
«Karl!» urlai. Questa volta lui mi sentì, ma rispose senza voltarsi: «Aspetta un secondo, Krista» e tornò a concentrarsi sulla carta.
Mi resi conto in quel momento che, qualunque cosa fosse, la creatura mi stava per prendere in pieno. Spalancai la bocca e gridai con quanto fiato avevo in gola: «VAN HELSING!»
Entrambi i miei compagni si voltarono e Van Helsing perse un colpo.
«E' un vampiro! Scappa Krista, scappa!»
Mi abbassai appena in tempo per evitare che il vampiro mi afferrasse con le zampe posteriori. Tentai incautamente di portare al riparo i cavalli, ma una seconda picchiata del mostro mi costrinse a sdraiarmi sul sentiero. Strisciai verso gli alberi. Sentivo Van Helsing sparare dietro di me e Karl che correva, ma non mi voltai. Ce l'avevo quasi fatta quando il vampiro mi afferrò per un piede. Gridai per lo spavento. Quello che vidi fu impressionante: il suolo si allontanava da me mentre la forza di gravità mi faceva pendere a testa in giù.
Non tentai nemmeno di riflettere: afferrai il mio pugnale, lo stesso che avevo giurato di non saper usare, e mi piegai su me stessa lottando contro l'attrazione del suolo. Riuscii a ferire il mostro sulla caviglia e lui mi lasciò andare con un grido di dolore.
Caddi per alcuni metri, finendo addosso a Karl. Ci rialzammo e corremmo verso i cavalli, che avevano trovato rifugio nella foresta. Intanto Van Helsing continuava a sparare, imprecando.
«Non riesco a colpirlo!» gridò.
Io inchiodai e invertii la corsa, scapicollandomi verso Van Helsing. Non so cosa sperassi di ottenere, dato che la mia unica arma era un coltellino appena sufficiente per un taglio superficiale, ma corsi ugualmente. Karl corse dietro di me per fermarmi. Mi aveva appena raggiunta e afferrata per le braccia che Van Helsing finì le munizioni.
«Merda...» imprecò, e ci gridò di portargliene altre. Io e Karl tornammo indietro, verso le sacche con le pallottole. Karl le raggiunse per primo e frugò per trovarle. Mi volsi e vidi Van Helsing che usava la sua balestra come bastone per allontanare il vampiro. Ora che lo scrivo, mi figuro quell'istante come qualcosa di divertente, ma allora ero colma di terrore.
Finalmente Karl recuperò abbastanza munizioni da ricaricare l'arma di Van Helsing e corremmo verso di lui. Karl continuava ad inciampare per l'agitazione, così mi lanciò la scatola con i proiettili.
«Corri Krista!»
Io afferrai la scatola al volo con una capacità che mi lasciò di stucco e corsi ancora più forte di prima. Avevo male alla milza e il fiatone ma non mi fermai.
«Van Helsing!!» strillai. Lui si voltò ed io lanciai a mia volta la scatola. Van Helsing corse per prenderla, ma il vampiro la afferrò per primo.
Io lo guardai, cercando di pensare. Non aveva ancora distrutto le munizioni, limitandosi a volare sopra a Van Helsing ridendo. Ripresi in mano il mio coltello e lo lanciai verso l'alto. Sul momento sembrò dovessi mancarlo, ma all'ultimo momento il vampiro, che non si era accorto del mio gesto, volò all'indietro e il pugnale, ricadendo verso terra, lo colpì esattamente in mezzo alle scapole. Il mostro emise un suono agghiacciante e lasciò cadere la scatola. Van Helsing la afferrò e, approfittando di quell'espediente, ricaricò la balestra. Riprese a sparare a raffica trapassando le ali del vampiro. Decine di pertugi sanguinanti si aprirono nella sottile membrana che circondava le braccia dell'essere. Strillando ancora più forte, il mostro ci guardò con odio e si allontanò.
Ci fu un improvviso silenzio sulla strada. Karl si rialzò da terra e mi raggiunse. Van Helsing fissava il punto in cui era sparito il vampiro.
Fu il frate a rompere il silenzio per primo.
«Se n'è andato?»
«Sembra di si...» mormorò Van Helsing, voltandosi verso di noi.
Karl sospirò di sollievo e anche io mi concessi un sorriso vittorioso.
Tutto sommato ero abbastanza orgogliosa di me stessa. Non avrei mai immaginato di poter combattere contro qualcuno uscendone viva ed incolume. Perdevo un po' di sangue dal naso a causa della caduta di poco prima, ma a parte questo stavo bene.
Il sangue del mostro era sparso per terra, sull'erba e sui sassi. Non era come il sangue umano: era nero come la pece e sembrava che bollisse, tante erano le bollicine scoppiettanti che produceva. Era caldo, disse Van Helsing, ed emanava un puzzo orribile, insopportabile. Trattenni un conato di vomito e corsi verso il bosco per rimettere, assistita da Karl.
Mi sedetti contro il tronco di un albero, ansimante. La gioia di poco prima era stata sostituita da un tremore incontrollato delle mani e da una strana sensazione allo stomaco. Deglutii un paio di volte e chiesi: «Allora, siete riusciti a trovare la strada o ancora no?»
Karl annuì, sedendosi accanto a me. «Si, credo di si. Anche se adesso sarebbe meglio fare una pausa, non credi?»
Io non risposi. Chiusi gli occhi cercando di fermare le mie mani, che continuavano a tremare. Karl fece quanto di peggio potesse fare: mi prese le mani tra le sue, proprio come avevo fatto io quella notte alla locanda. Senza dubbio era nel tentativo di tranquillizzarmi, ma naturalmente ottenne l'effetto opposto. O almeno questo all'inizio, perchè dopo poco mi calmai.
«Sai, sei stata brava. Insomma... Intendo prima, io non sarei...» disse Karl, interrompendosi dopo aver visto il mio sorriso. Dopo un attimo di esitazione, sorrise a sua volta.
«Grazie. Non credevo di esserne capace...» mormorai in risposta. Van Helsing tornò con una bottiglia di vetro, contenente il sangue del vampiro. Era sigillata, in modo da non far uscire l'odore. La lanciò a Karl e disse: «Per i tuoi esperimenti. Magari ti sarà utile.»
Il frate non sembrò d'accordo, ma mise ugualmente la bottiglietta nella sacca. Van Helsing mi tese una mano e mi alzai, dirigendomi con gli altri a recuperare i cavalli. Stavamo per ripartire quando io esclamai: «Il mio pugnale... Non ho potuto recuperarlo. Che peccato!»
 
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;LuLuOMNiPOTENCE}
view post Posted on 12/9/2009, 20:31




Now's The Time
Ripartimmo prendendo la strada scelta da Karl e Van Helsing. Mi dispiaceva non avere più il pugnale con me, specialmente dopo gli ultimi avvenimenti. Mi ero abituata a cavalcare con la punta del fodero del coltellino che puntava contro la mia gamba.
Questo mi fece pensare a quanto ero cambiata in quel breve periodo: da povera lavandaia a prode guerriera. Risi di questi pensieri, anche se in realtà non era solo un cambiamento apparente. Certo, avevo cambiato i miei abiti e molte delle mie abitudini, ma mi ero soprattutto fortificata nel carattere. Avevo imparato a sopportare più fatica fisica e morale di quanto mai mi sarei aspettata e avevo fatto e visto cose che non avrei immaginato.
Su ciò riflettevo, seduta vicino a un sasso, rigirandomi il sette di denari tra le mani. Era tardo pomeriggio, ma avevamo deciso di fermarci per riposare, visti i fatti della giornata. All'improvviso un suono sibilante mi distolse dai miei pensieri e, quando una spada si piantò a due passi dalla mia faccia, alzai lo sguardo sgranando gli occhi. Van Helsing mi puntava contro una lama, sorridendo.
«Ehm...»
«In piedi, prego.»
Io mi alzai e cercai di sfilare la spada da terra, senza riuscirci.
«Pensavo che, dal momento che non hai più il tuo pugnale e visto che pare che un vampiro ti voglia uccidere, dovrai imparare ad usare una spada, non credi?»
«Ehm...» ripetei, poco convinta. Dovetti abbassarmi subito perchè Van Helsing fendette l'aria esattamente dove mi trovavo io. Gli lanciai una serie interminabile di improperi nella mia lingua che lui per fortuna non capì e gli chiesi di aspettare, perchè la mia lama era ancora ben piantata nel terreno. «I tuoi nemici non aspetteranno» rispose Van Helsing asciutto. Io lo guardai con aria di sfida. Estrassi la mia spada e cercai di colpirlo, ma la lama era molto pesante e mi scivolò via, permettendogli di parare il mio affondo e di mandarmi lunga distesa a terra. Mi infastidiva non riuscire nemmeno a sollevare la spada. Ringhiai come una belva a caccia.
Mi rialzai e ripresi l'arma, ma collezionai un fallimento dopo l'altro. Alla fine, dopo un arco di tempo che mi parve infinito, Van Helsing decretò che avevamo fatto abbastanza.
«Karl» chiamò, lanciando le spade al frate. «Mettile via.»
Presumo che Karl sia riuscito ad afferrare le spade per l'elsa solo per la bravura di Van Helsing nel lanciarle. Karl gridò di sorpresa quando lui gliele tirò ma le ripose senza dire niente.
«Spero che tu sappia usare una pistola meglio di come maneggi una spada» commentò Van Helsing porgendomi una rivoltella molto bella, con l'impugnatura in legno e parti in metallo, decorata con intarsi d'argento molto raffinati.
«Se riesci ad usarla, è tua. L'abbiamo trovata nel castello di Dracula durante la nostra ultima visita...» disse Van Helsing. Afferrai l'arma con un sorrisetto furbo e risposi: «Scegli un bersaglio.»
«Lo vedi quel nido vuoto lassù?» chiese, indicandomi un nido di rondini abbandonato e ormai ghiacciato. Io annuii e Van Helsing disse: «Voglio che tu lo colpisca. Attenta: è già carica.»
Io non persi tempo. Puntai la pistola e sparai. Colpii il nido in pieno, facendolo cadere a terra.
Karl emise un fischio di approvazione ed io sorrisi. «Grazie.»
Anche Van Helsing parve colpito. «Brava. Ora colpisci quello.» Mi indicò un ramo secco, ancora attaccato al ramo per pura fortuna. Questa volta dovetti prendere meglio la mira, per trovare il punto giusto. Appurato dove il legno fosse più marcio, sparai un colpo e il proiettile fece un foro perfettamente tondo nell'attaccatura del ramo.
«Non l'hai staccato» commentò Van Helsing.
«Aspetta.»
Dopo pochi secondi il ramo cominciò a tremare e alla fine cadde esattamente davanti a Van Helsing. Lui sorrise e disse: «E' chiaro che sai usarla. L'avevi mai fatto?»
«Cosa?»
«Sparare.»
«Oh... No, ma ho sempre avuto una mira discreta.»
Lui annuì e mi disse che potevo tenermi la pistola. Orgogliosa della mia nuova arma, osservai Van Helsing che prendeva dal suo sacco un'altra arma da fuoco, più grande, con un arpione che usciva. Era la stessa cosa che aveva usato per portarmi in salvo il giorno del nostro incontro. Lo guardai senza capire. Lui sorrise della mia espressione.
«Va bene, ora prova questo. È un po' pericoloso quindi stai attenta.»
Io presi in mano quell'arnese con diffidenza. «E... cosa dovrei farci?»
Lui alzò le spalle. «Ti lanci.»
«Da dove?»
«Da dove vuoi.»
Io rimuginai un momento. Avevo visto una scarpata poco lontano dalla strada: un profondo burrone la cui altra parete era più alta di quella dove ci trovavamo noi. Puntai sicura verso il burrone, inoltrandomi nel folto. Van Helsing mi seguì per giudicare la mia prova e Karl, che aveva intuito cosa volessi fare, ci chiamò indietro, dicendo che era pericoloso. Non gli diedi retta, né Van Helsing lo fece. Alla fine anche Karl ci seguì rassegnato.
Il crepaccio era molto più profondo e buio di quanto credessi. Non se ne distingueva nemmeno il fondo. Sospirai e guardai Van Helsing come per dire: “devo proprio?” e lui fece un gesto come per rispondere: “accomodati pure”.
Sospirai di nuovo e puntai l'arma verso l'alto, alla ricerca di un appiglio per l'uncino, senza trovarne. Gli alberi erano molto in alto e non ero certa che la corda fosse abbastanza lunga. Uno spuntone di roccia sporgeva verso di noi, sul quale cresceva non so come un imponente salice.
Mi dovetti rassegnare. Sparai l'arpione verso il salice. L'urto fu tale che credetti di venire scagliata verso Van Helsing. L'uncino si incastrò nel tronco perfettamente ed io indietreggiai, tendendo la corda. Poi, semplicemente, mi lasciai andare.
La corda si arrotolò su se stessa, mentre io mi avvicinavo rapidamente alla parete rocciosa. La mia prima impressione fu quella di finire schiacciata contro la roccia, ma mi avvidi che stavo risalendo verso il salice. Dovevo solo preoccuparmi di non mollare la pistola, o sarei precipitata nel vuoto.
In pochi secondi ero arrivata al salice. Mi accorsi che stavo per schiantarmi contro il tronco, il che significava morte a quella velocità. Unii le gambe e le irrigidii. Toccai il tronco solo con i piedi, ma il contraccolpo fu ugualmente forte. Non sapevo cosa stessero dicendo Van Helsing e Karl, anche se forse non stavano nemmeno parlando: non avrei saputo dirlo a quella distanza. Aggrappata all'impugnatura di quell'aggeggio mi spostai dietro al salice, sparendo dietro alle sue fronde fredde. Ci misi parecchio per capire come fare per sganciare l'arpione e altrettanto per riuscire a spararlo dall'altra parte. Bisogna infatti dire che, per quanto fossi stata abile nell'arrivare al salice, ero stata altrettanto inetta nello sceglierlo come bersaglio: l'albero infatti cresceva esattamente sul bordo dello spuntone roccioso, non lasciando quindi spazio per stare in piedi senza cadere di sotto.
Risolsi quindi di arrampicarmi e di sedermi su di un ramo. Una volta lassù, scostai le fronde e sparai l'uncino in un pino alle spalle dei miei amici. Poi mi lasciai scivolare giù.
Questo secondo viaggio sospesa nel vuoto fu quasi divertente. Era bello sentire il nulla sotto di me e tuttora, nonostante non sia la prima volta, è uno spasso volare nell'aria con quell'affare.
All'ultimo momento però scivolai e mollai la presa. Per fortuna ero già quasi arrivata e, dopo aver proseguito per qualche metro a causa della spinta presa, finii addosso a Karl, buttandolo a terra.
Van Helsing andò a recuperare la pistola ed io mi rialzai tremante per l'emozione. Io e Karl ci togliemmo la polvere di dosso.
«Ho temuto davvero che ti schiantassi» disse lui, con occhi sgranati.
«Anche io» risi.
«Complimenti!» gridò Van Helsing, arrampicandosi sul pino. «La prossima volta, però, non sparare così in alto.»
Io arrossii. «Ops.»
«Si, beh. Direi che questo e la tua mira con la pistola ti perdonano la figuraccia con la spada!» scherzò Karl. Io lo guardai inarcando un sopracciglio.
«Posso recuperare» lo informai.
«Non stasera» disse Van Helsing raggiungendoci. «Adesso dobbiamo parlare un po'.»
 
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;LuLuOMNiPOTENCE}
view post Posted on 13/9/2009, 14:22




Keep On Feeling Better
«Di che dobbiamo parlare, Van Helsing?» domandò Karl quando fummo tornati accanto al fuoco.
Van Helsing ci mise un po' a rispondere. «Dobbiamo parlare di Krista. A me pare che non sia più necessario appurare la tua discendenza dal conte Dracula. Che ne dite?»
Io annuii e anche Karl fu d'accordo.
«Ora resta da verificare se Dracula abbia “prolificato” prima o dopo la sua morte.»
Nessuno rispose, anche se io non ero sicura di volerlo sapere. Discendere da un uomo che poi era morto era accettabile se non ovvio, ma discendere da un vampiro era diverso. Mi chiesi se ci fosse qualcosa che non andava in me.
«Beh...» disse Karl. «Se una donna umana ha attirato l'attenzione di un vampiro doveva essere una donna molto forte, come te.»
Io gli tirai la mia sacca e lui rise. «Cercavo di sdrammatizzare!» si giustificò. Anche Van Helsing gli tirò qualcosa, commentando: «Ma che bravo!»
Io risi divertita. Cenammo e andammo a dormire. O meglio, io andai a dormire, perchè Van Helsing e Karl si alternarono nei soliti turni.
Sognai di nuovo il conte, ma questa volta non cercò di uccidermi.
Mi trovavo seduta nell'oscurità. Tutto era buio e l'unico tocco di colore era dato dal velluto rosso fuoco della poltrona su cui ero accomodata. Sentivo dei passi che camminavano intorno alla poltrona. Sapevo che era il conte, eppure ero tranquilla.
«E così sei sfuggita al mio vassallo» disse con voce pacata. «I miei complimenti. Non sono molti quelli che riescono a ferire Rodrigo e sono poi in grado di raccontarlo.»
Io non replicai, continuai anzi a guardare fisso davanti a me come se niente fosse. Se quello non fosse stato un sogno, credo che sarei scappata urlando.
«Ma non sono tutti come Rodrigo. Ci sono alcuni di noi dai quali non potresti scappare.»
Il conte si sedette sul bracciolo sinistro della poltrona, guardando verso l'alto come se stesse osservando il tempo, e potei finalmente vederlo per la prima volta.
Era alto e snello, con la carnagione quasi bianca e i capelli neri come il carbone, tirati indietro da un fermaglio dall'aria costosa. Gli occhi scuri parevano pozzi senza fondo. Aveva due anellini d'oro alle orecchie e indossava abiti neri pratici ma molto lussuosi. Nel complesso, aveva un bellissimo aspetto. Dimostrava l'età che aveva quando era stato ucciso, ossia circa quarant'anni. La sua voce era molto bella e con un accento abbastanza marcato proprio delle terre dell'est Europa che gli conferiva un alone di mistero. Se non avessi saputo chi fosse, immagino che mi sarei certamente innamorata di lui, come forse a volte accadeva alle donne.
Dracula mi guardò. «Tu sai come si uccide un vampiro, Krista?»
«No.»
Lui sorrise mostrando una fila di denti perfetti. Mi chiesi dove fossero i canini che distinguevano i vampiri dalle altre creature, dato che i suoi erano normalissimi. Ora so che crescono solo quando servono la situazione.
Sorridendo, allungò un braccio indicandomi due sgherri dall'aspetto orribile, che sul momento non seppi identificare, che tenevano due pesanti catene di ferro. Assicurato alle catene stava un ragazzo molto giovane e con l'aria terrorizzata e arrabbiata al tempo stesso, che io riconobbi come il vampiro che ci aveva attaccati.
«Così, ecco.»
Dracula saltò direttamente sul vampiro, che dedussi fosse Rodrigo, superando una distanza di alcuni metri con un solo balzo. Mentre ancora era nell'aria estrasse un paletto d'argento e lo conficcò nello stomaco di Rodrigo. Vidi l'espressione del vampiro cambiare, trasformarsi lentamente in una smorfia di dolore. Un fiotto di sangue nero sgorgò dalla ferita e Rodrigo si accasciò a terra. Pochi, ultimi spasmi incontrollati e Rodrigo cessò di esistere, riducendosi in un ammasso di polvere. Dracula soffiò e la polvere si disperse.
«Lui non mi è stato di alcuna utilità. Ma altri non mi deluderanno.»
Dracula si voltò verso di me e sorrise di nuovo. Avrei dovuto essere terrorizzata o quantomeno turbata da quell'episodio, mentre rimasi indifferente.
«Ti starai chiedendo come farai a piantarmi un paletto d'argento nel cuore, dico bene, nipote mia?» chiese Dracula. «Oppure ti starai domandando come fare a bagnarmi con acqua benedetta o a pietrificarmi con un crocifisso!»
L'ultima parola fu accompagnata da una serie di scintille mentre il conte allargava le braccia verso l'alto. Sorrise di nuovo. «Ma io non sono come tutti gli altri. Chiedi conferma al tuo amico Van Helsing! Domandagli cosa gli è costato uccidere...» e ridusse la voce ad un sussurro, «...me.»
In quel momento mi svegliai di soprassalto. Ero sudatissima e respiravo affannosamente.
Mi guardai intorno spaventata. Van Helsing era coricato poco distante, mentre Karl era seduto con la schiena appoggiata ad un tronco. Mi guardò incuriosito.
«Tutto bene?» mi chiese.
Io non trovai le parole per rispondergli e scossi la testa. Lui parve capire cos'era accaduto, perchè si alzò e mi tese una mano. L'afferrai e mi alzai a mia volta. Ci incamminammo insieme lontano dal campo. Non riuscivo a stare in piedi: avevo mal di testa e mi veniva da vomitare, e i miei occhi erano inondati di lacrime.
Ci fermammo fuori dalla boscaglia, poco distante da dove mi ero lanciata con la pistola di Van Helsing. Lì ci fermammo e Karl mi guardò.
«Cos'è successo Krista?»
Io non mi trattenni più: scoppiai a piangere, senza pensare che la persona alla quale mi stavo stringendo con tanta foga era un frate; l'avevo già fatto l'ultima volta, quando Dracula aveva cercato di scaraventarmi da una finestra, ma la cosa mi provocò ugualmente un certo disagio. Karl non se ne curò e mi strinse a sé, cullandomi dolcemente. «Coraggio...» mormorò. «Non vuoi raccontarmi cos'hai sognato?»
Io tra un singhiozzo e l'altro gli comunicai ciò che avevo visto e ciò che avevo provato. Credo che fosse arduo per Karl capire qualcosa del mio racconto sconclusionato, ma non lo diede a vedere.
Alla fine mi lasciai scivolare a terra. Ero sfinita: mi aveva stancato di più quella conversazione di tutte le prove cui mi aveva sottoposta Van Helsing. Anche Karl si sedette accanto a me.
Di nuovo pensai a quanto fosse bello. Dannatamente bello e irraggiungibile. Non mi importava più niente dei suoi abiti monacali, tanto erano solo pensieri. E poi il mio non era desiderio carnale; o meglio, non era soltanto desiderio: era anche affetto ed amore.
Karl mi prese la mano e io sorrisi. Tremai al contatto con la sua pelle. Aveva delle mani forti e protettive. Mi sorrise e mormorò qualcosa che non capii. Volsi il capo verso di lui per chiedergli di ripetere, ma mi scontrai con le sue labbra.
Sul momento rimasi quasi paralizzata mentre Karl mi baciava. Insomma, era un frate... Un uomo di chiesa, con l'obbligo di rimanere casto. Dopo pochi secondi decisi che era stato lui a baciarmi per primo, così mi abbandonai a ciò che le mie labbra volevano fare già da tempo.
Non era il mio primo bacio: la prima volta era stato un giovane contadino, che poi era morto a causa di una polmonite. Non amavo quel ragazzo, era capitato. Con Karl, però, fu come se fosse il primo contatto con un uomo.
Mi baciò dolcemente, quasi temesse di farmi male. Le sue labbra morbide sapevano di buono. Mi mise una mano intorno al collo per avvicinarmi di più a sé. Io quasi fremevo sotto il suo tocco gentile. Mi sfiorò la lingua con la sua più volte, e ad ogni contatto mi sentivo arrivata in Paradiso.
Stringendomi in un dolce abbraccio fece scendere le labbra lungo il mio collo, mentre con le mani mi accarezzava la schiena. Sentii un brivido di passione dentro di me. Mancavano poche ore all'alba: quello di Karl era l'ultimo turno. Non mi opposi quando lui mi slacciò il corpetto, anzi a mia volta gli sfilai il saio.
Non mi importava se era un prete, non mi importava se nessuno avrebbe mai voluto sposare una donna non più vergine. In effetti, non mi importava di niente. Mi unii a Karl quella notte sapendo che era la cosa giusta da fare.
 
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view post Posted on 13/9/2009, 14:56




Ho Peccato
Quando mi svegliai, un'ora dopo l'alba, trovai Karl seduto davanti a me. Mi guardava sorridendo.
Io gli sorrisi e lui si chinò su di me, baciandomi dolcemente.
«Posso confessarmi?» disse lui. «Credo di aver peccato.»
Io ridacchiai. «Dieci Ave Maria e venti Pater Nostri» risposi. Lo ripresi con le labbra, accarezzandogli la schiena. Durante il nostro rapporto mi ero accorta dei muscoli nascosti sotto la pelle di Karl e ne ero rimasta compiaciuta. Era veramente bellissimo...
Tra un bacio e l'altro, Karl mi disse: «Credo che dovremmo tornare. Van Helsing si sveglierà da un momento all'altro.»
«Dovremmo dirglielo?»
Lui scosse la testa. «Riderebbe.»
Aveva ragione. Ci rivestimmo e tornammo al campo. Van Helsing si stava stiracchiando, ancora seduto a terra. «Dov'eravate?» ci chiese sbadigliando.
Karl gli disse che mi ero svegliata dopo un altro incubo ed io glielo raccontai. Non mentimmo, semplicemente occultammo parte della verità. Mentre mangiavo, provai il timore di non riuscire più a comportarmi come prima davanti a Van Helsing. Non sapevo come mi sarei comportata, probabilmente avrei prestato troppe attenzioni a Karl, o troppo poche. Mi chiesi se anche lui avesse le stesse idee per la testa. Mi sentivo incredibilmente appagata. Avevo desiderato così tanto quella relazione che nella mia mente non c'era posto per altro, al momento. Ricordavo i baci e le carezze di Karl, sentivo le sue labbra sulle mie...
Mi mordicchiai il labbro inferiore. Era strano non essere più vergine: avevo sempre trovato la mia verginità una barriera protettiva nei confronti del mondo. Adesso mi sentivo strana. Oltre al dolore fisico che mai mi sarei aspettata c'era una specie di senso di colpa. All'inizio pensai fosse dettata dal fatto che Karl era un frate, ma presto capii che non era quello il motivo. In effetti era stato lui a muoversi per primo. Decisi di non pensarci. Forse era sempre così dopo aver fatto sesso per la prima volta.
Ripartimmo al galoppo verso Praga. Eravamo ormai entrati nel territorio cecoslovacco già da alcune ore e ancora non era successo niente che fosse degno di nota. Sospirai sollevata. Ci fermammo per mangiare qualcosa verso mezzogiorno. Notai che Karl mi guardava. Sorrisi abbassando lo sguardo, rossa in viso. Quando giunse la sera, uno strano batticuore mi impediva di dormire. Alla fine crollai per la stanchezza. Mi svegliai quando ormai stava per albeggiare. Karl era seduto lì accanto e mi fissava. «Ben svegliata.»
Io mi alzai in piedi e camminai per qualche metro. Karl mi raggiunse.
Mi abbracciò da dietro sfiorandomi il collo con le labbra. Avevo capito la sera precedente che per lui non era la prima volta che aveva rapporti con una donna, eppure non lo facevo così maledettamente bravo. Sospirai, decisa a godermi quel momento fino in fondo. Lui mi mordicchiò piano il lobo dell'orecchio.
Lo udii mormorare un timido: «Ti amo...»
Non ci credevo. Per un po' i miei pensieri di quella giornata erano grati intorno a quell'argomento: Karl mi amava o era venuto con me solo per il gusto di farlo? Avevo cercato di evitare le illusioni concentrandomi del secondo caso. Il tono sincero con cui aveva pronunciato le ultime parole mi convinse del contrario.
Mi voltai e lo baciai intensamente. Non mi pento di quel che abbiamo fatto quella mattina, mi dispiace solo che sia durato così poco. Non passò molto tempo, infatti, che dovemmo tornare da Van Helsing. Ripartimmo e non ci fermammo fino alla sera successiva.
Trascorse una settimana durante la quale la routine rischiò di ucciderci: partivamo alla mattina all'alba lungo un sentiero verso Praga. Pranzavamo in sella rallentando l'andatura il tempo necessario a mangiare e poi ripartivamo più veloci di prima. Alla sera ci fermavamo poco prima del tramonto. Io e Van Helsing ci allenavamo con le spade per un'ora e poi cenavamo. Io tiravo di scherma peggio di quando avevo cominciato, ma non mi davo per vinta. Durante la notte Van Helsing e Karl si alternavano con i turni e all'inizio dell'ultimo turno Karl mi svegliava e ci allontanavamo insieme. In effetti il nostro rapporto non era cambiato molto rispetto a prima, solo che adesso ci abbandonavamo a carezze e contatti che prima nessuno di noi osava.
Dentro di me qualcosa rideva a crepapelle: ero, forse, il più grande controsenso che potessi immaginare. Avevo un nome biblico e credevo in Dio, ma discendevo da un demone e andavo a letto con un frate. La cosa mi divertiva immensamente.
Passò un'altra settimana e finalmente giungemmo a Praga. Qui Van Helsing disse a Karl una cosa che mi lasciò senza fiato.
«Per Dio, Karl! Togliti il saio.»
Io scoppiai a ridere come una matta, anche se non capivo perchè la cosa mi divertisse tanto. Karl sgranò gli occhi e lo guardò sconcertato.
«Cosa?»
Io intervenni sorridendo. «Non credevo fossi omosessuale, Van Helsing.»
Van Helsing mi tirò in faccia qualcosa che somigliava paurosamente ad un panno sudato e rispose, stizzito: «Non capite mai niente al volo! Intendevo dire che adesso dobbiamo viaggiare veloci e quel tipo di abbigliamento non è molto utile allo scopo.»
Io annuii, senza poter trattenere altre risate, mentre Karl abbassava lo sguardo. Sotto i capelli biondi indovinai un colorito rosso fuoco.
Entrare in città non fu così semplice come credevo. Le porte principali della città erano affollate di gente che premeva per entrare. Era una mattina uggiosa ed il cielo era terso. Col cappuccio calato sul viso, mi guardai intorno; c'era di tutto là in mezzo: donne con i loro figli, intere famiglie che si spostavano con i carri, contadini e pastori che correvano tra la folla, giovani ragazzi piuttosto avvenenti con le loro spose.
Mi strinsi a Van Helsing per proteggermi dal freddo e dissi: «Dove va tutta questa gente? Sembra abbiano una gran fretta!»
Lui scosse la testa. «Non ne ho idea.»
Dovevamo offrire un notevole spettacolo: i nostri erano gli unici cavalli che andavano con calma e a passo lento tra tutta quella massa di persone che spingevano e si accalcavano per passare. Quando finalmente riuscimmo ad entrare, notammo che la città era così piena che molti stavano ammassati sui marciapiedi, stringendosi addosso i pochi averi. Come se avessero dovuto vivere lì per sempre.
Van Helsing fermò un uomo in divisa che camminava nella direzione opposta alla nostra.
«Perdonatemi. Potete dirmi che sta succedendo?» domandò indicando tutti gli sfollati.
«Non lo sapete?» domandò l'uomo, incredulo. «Uno strano essere si sposta nelle campagne intorno alla città. Il popolino pensa di poter trovare rifugio qui a Praga, ma ne dubito: abbiamo trovata morta una giovane, qualche sera fa.»
«Come è morta?» domandò Karl in un sussurro.
«Dissanguata» replicò l'uomo, prima di proseguire per la sua strada. Io e van Helsing ci scambiammo uno sguardo di intesa. Smontammo da cavallo e ci dirigemmo verso una locanda. Quelle a basso prezzo erano tutte stipate, così dovemmo prendere una stanza in una di quelle più costose. Per risparmiare prendemmo un'unica stanza, tanto ormai eravamo abituati. Mi dispiacque solo perchè così io e Karl non avremmo potuto avere la nostra intimità.
Poi uscimmo. Van Helsing accompagnò Karl a comprare degli abiti più comodi, anche se il frate non era molto d'accordo. Io invece girovagai un po' per Praga.
Faceva un freddo incredibile. Stimai, per quel che potevo saperne, che la temperatura fosse di molto al sotto dello zero. Mi strinsi nel mantello. Era una città enorme. Camminai per un po' senza una meta precisa. Costeggiai per un po' il fiume Moldava, che attraversa completamente la città, e poi lo attraversai su un ponte molto lussuoso. Mi domandai se gli Asburgo fossero lì, in quel periodo, ma ne dubitai. Faceva troppo freddo e, probabilmente, si trovavano in qualche luogo più caldo. Karl mi aveva raccontato che il dominio asburgico in Italia era cessato da quasi trent'anni. Non sapevo bene tutti i passaggi, ma pensai si fosse scatenata una grande guerra per conquistare l'indipendenza.
Alzai lo sguardo verso il cielo e mi resi improvvisamente conto di essermi persa.
Dopo un accenno di disperazione, intravidi un soldato a cavallo e corsi da lui per chiedergli aiuto. Notai come osservava le mie curve e la scollatura della camicia, ma pensai che forse non mi avrebbe aiutato se non fossi stata potenzialmente attraente. Non mi sono mai considerata bella, ma evidentemente a lui piacevo. Si offrì di accompagnarmi fino alla locanda dove gli dissi che alloggiavo, così montai a cavallo dietro di lui e attraversammo al trotto la città.
Lungo il tragitto lui elogiò la sua carica nella polizia di stato e mi raccontò di diverse occasioni in cui aveva potuto mostrare le sue qualità. Non lo stavo ascoltando, presa com'ero dal rievocare l'immagine di Karl senza il saio addosso.
 
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view post Posted on 13/9/2009, 17:51




Un blitz sul Moldava
Quando raggiungemmo la locanda era ormai mezzogiorno e cominciavo ad avere fame.
Il soldato smontò per primo e mi prese per la vita per aiutarmi a scendere. Come se ne avessi bisogno... Mi salutò con un lunghissimo baciamano e io pregai che Karl non fosse alla finestra.
Non appena mi fu possibile scappai verso la locanda. Entrai come una furia e corsi a perdifiato fino in camera. Una volta entrata credetti di vedere Gesù Cristo, ma mi accorsi che era solo Karl. Mi bloccai sulla soglia e lo fissai.
Karl indossava un paio di pantaloni attillati di quello strano tessuto genovese, il denim. Addosso aveva una camicia marrone ed una casacca di pelle scura allacciata sul torace. Ai piedi portava un paio di stivali anch'essi color marrone scuro e al fianco pendeva una spada che dubito sapesse usare.
Dovevo avere una strana espressione.
«Chiudi la bocca Krista» disse Van Helsing senza smettere di farsi la barba.
Io scossi il capo e sorrisi maliziosa. «Stai... bene.»
Karl arrossì ma non abbassò lo sguardo (il che mi fece pensare ad un miracolo). Mi ripresi dopo un attimo di smarrimento e mi lasciai scivolare su uno dei tre letti presenti nella stanza.
Mi sforzai con tutta me stessa di non pensare a Karl. Non ci riuscivo. “Merda” pensavo, ogni volta che mi tornavano alla mente i baci, le carezze, gli abbracci... Affondai il viso nel cuscino per impedire a Van Helsing di scorgere il mio sorriso.
Ogni volta che chiudevo gli occhi mi tornavano alla mente i suoi capelli, le sue mani, il suo corpo scolpito (non so come, visto l'ambiente in cui era cresciuto), la dolcezza infinita e inconfondibile del suo sguardo. Amavo tutto di lui, non riuscivo a trovargli alcun difetto.
Mangiammo al piano di sotto, insieme a molte altre persone. Cercammo di saperne di più sul misterioso essere che abitava le campagne, ma non riuscimmo a sapere nulla. Sentimmo solo qualche notizia sfuggente riguardo a un grande e famoso “qualcuno” giunto quella stessa mattina a Praga. Mi chiesi chi mai fosse, ma non gli diedi troppa importanza perchè non centrava con la nostra missione.
Decidemmo di restare a Praga due giorni. Al terzo saremmo ripartiti.
Il pomeriggio trascorse tranquillo e privo di incidenti.
Al tramonto, cominciammo a udire delle urla.
Eravamo in camera a pensare al viaggio quando sentimmo le prime grida di terrore provenire dalla strada. Scendemmo e fermammo una donna.
«Che succede?» domandai io.
«Sul fiume!» esclamò la donna. «Mostri con le ali! Moriremo tutti!»
Scappando spaventata continuò a gridare frasi sconclusionate. Io e gli altri ci guardammo per un momento, prima di correre a perdifiato verso il fiume Moldava. Di prendere i cavalli per fare più in fretta non se ne parlava: c'era troppa ressa.
Corsi come non avevo mai corso in vita mia. Mi faceva male la milza e avevo il fiato corto quando raggiungemmo il ponte. E li vedemmo.
Due vampiri, presumibilmente un maschio e una femmina, volavano sul fiume con furia, prendendo al volo quelli che incontravano. Molti vennero morsi, altri scaraventati nel fiume. Van Helsing mi lanciò qualcosa.
«Carica la pistola, Krista! Sono pallottole d'argento!» gridò, estraendo a sua volta la sua balestra. Io caricai la pistola e corsi dietro a Van Helsing, che si era già lanciato nella mischia. Karl rimase indietro, ma non ce ne curammo: era meglio così, poteva farsi male.
Corremmo sul ponte sparando sui vampiri, anche se nessuna delle munizioni andò a segno. Bestemmiando, Van Helsing corse verso il parapetto del ponte. Prima che potessi rendermene conto era saltato giù. Imprecai e corsi a vedere. Mi sporsi dal parapetto e un vampiro mi passò a pochi centimetri dal viso. Veniva da fiume e saliva sempre più in alto, con Van Helsing aggrappato ai piedi. Cercava di rallentarlo per permettermi di ucciderlo. Tesi il braccio verso l'alto e tolsi la sicura.
Stavo per premere il grilletto quando Karl mi piombò addosso.
«No! Non puoi sparargli, o Van Helsing finirà nel fiume!»
Io non lo ascoltai. Sparai un colpo ben mirato e colpii il mostro in un ala. Non mi aspettavo che morisse, ed infatti non lo fece. Ma riuscii a precipitarlo per alcuni metri, permettendo così a Van Helsing di puntare la balestra esattamente contro il suo cuore. Lo sparo che seguì sembrò un vero e proprio scoppio di bomba, tanto assordante fu il suo rumore. Gridai di spavento e mi abbassai dietro al parapetto con Karl, per evitare che la pelle scoppiata del vampiro ci colpisse. Come avevo visto in sogno, il corpo del mostro si ridusse in cenere.
Van Helsing aveva ucciso un vampiro.
La cosa mi parve inverosimile. Van Helsing sparò con la sua pistola e con la corda tesa raggiunse la sponda del fiume.
Aveva ucciso il maschio. La femmina strillò di dolore. Un lamento agghiacciante. Il sibilo era così penetrante che per qualche secondo non sentii più niente. Vidi Karl che mi sillabava qualcosa, ma non lo sentii. Lo guardai senza capire, mentre mi scoppiava un forte mal di testa. Scossi la testa.
«... vendetta!! Lo ammazzerà!» riuscii finalmente a sentire dalla bocca di Karl. Capì che si riferiva a Van Helsing, così entrambi ci voltammo verso di lui.
Ritirando la corda per tempo, Van Helsing era caduto a terra. Lo vedemmo rialzarsi in mezzo alla folla che scappava disordinata. Ci guardò, togliendosi di dosso la polvere, poi fissò un punto alle nostre spalle.
«Dietro di voi!!»
Ci girammo appena in tempo per vedere il vampiro femmina che ci veniva addosso. Io gridai, abbassandomi, ma Karl non fece in tempo ed il mostro lo afferrò.
Credetti di morire. Diverse emozioni mi invasero la mente in sequenza: paura, preoccupazione, panico, rabbia, odio, vendetta.
Sentii Karl urlare. Prima ancora di rendermene conto mi ero messa a correre come una furia verso una scala a pioli incassata nel muro di una casa. Cominciai a salire.
Veloce.
Sempre più veloce.
Quando finalmente arrivai sul tetto della casa mi sembrò che fosse passato un secolo. Corsi sulle tegole e, adesso, so che non potevo fare una cosa più stupida perchè ad ogni passo rischiavo di scivolare. Caddi e, nell'aggrapparmi al bordo del tetto, mi provocai una brutta ferita al braccio. Non mi importava, era come se non provassi più dolore. Non sentivo niente, non provavo alcuna sensazione che non fosse la cieca rabbia che mi spingeva all'azione. Mi arrampicai a fatica sul tetto e corsi di nuovo. Corsi fino a non avere più fiato. Bisogna dire infatti che a Praga, lungo il fiume Moldava, le case sono tutte attaccate fra loro, tranne quando devono lasciare spazio ad una strada, quindi non era difficile per me saltare da un tetto all'altro. Vidi che mi avvicinavo all'angolo di una strada. Voltai lo sguardo alla mia destra e osservai come il vampiro fosse così poco distante da me. Erano pochi metri, forse con un po' di rincorsa ce l'avrei fatta.
Scartai verso destra pronta a saltare, ma sul bordo mi fermai di colpo.
“Cosa sto facendo?”
Non ce la potevo fare, rischiavo solo di ferire Karl. Estrassi la pistola e puntai, ma nella confusione e nel buio della sera non riuscivo ad avere una mira abbastanza precisa da non colpire anche il frate.
Mi rassegnai a compiere l'unica azione possibile: piansi.
Nel frattempo Van Helsing, non potendo sparare per lo stesso motivo, correva sotto al vampiro nel tentativo di braccarlo, o almeno per afferrare Karl se il mostro l'avesse lasciato cadere.
Improvvisamente, non so per che motivo né a causa di cosa, Karl compì il più grande atto di coraggio che ci potessimo aspettare da lui: appeso a testa in giù, sguainò la spada e tranciò di netto il piede del vampiro. Gridai di terrore nel sentire il tonfo sordo di Karl che cadeva in acqua. Senza esitare, Van Helsing abbandonò l'inseguimento per correre verso il fiume. Si tolse il pesante cappotto lasciandolo a terra e si tuffò a sua volta. Non che Karl non sapesse nuotare, ma aveva fatto un bel volo e poteva essere svenuto.
Puntai di nuovo il mio sguardo sul vampiro, con nuova determinazione. Estrassi la pistola e tolsi la sicura. Non potevo sbagliare, non dopo che quell'essere aveva cercato di uccidere Karl.
Premetti il grilletto una, due, tre volte.
Il primo proiettile mancò il vampiro di un soffio, il secondo lo ferì ad una spalla ed il terzo lo sfiorò sul ginocchio, tracciando un lungo segno rosso.
Il vampiro rise con gusto ed io fissai inorridita la sua carne rigenerarsi laddove l'avevo colpito. Anche il piede amputato da Karl era improvvisamente rinato.
«Non è possibile...» mormorai.
Il vampiro si volse verso di me e cercò di piombarmi addosso, attirato dal sangue che colava dal mio braccio, ma io saltai giù dal tetto. Volai per quattro metri, prima di atterrare sul tendone di un negozio di alimentari e cadere ancora per un metro fino a sbattere a terra. Dopo un attimo di intontimento, sparai un'altra volta sul vampiro. Questa volta lo mancai in pieno a causa del giramento di testa, ma riuscii a spaventarlo ed il mostro fuggì via.
 
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;LuLuOMNiPOTENCE}
view post Posted on 15/9/2009, 16:47




Postumi della Sbornia
Mi alzai da terra barcollando per la botta ricevuta. Mi voltai verso il fiume e corsi alla riva. O meglio, tentai di correre verso la riva, anche se con qualche difficoltà: non solo mi girava la testa e perdevo sangue, ma cadendo dal tendone avevo preso una storta.
Barcollai fino ad appoggiarmi al parapetto e cercai con lo sguardo Van Helsing e Karl. Non riuscii a trovarli né a scorgerli.
Per un attimo, un breve ed orribile momento, il mio cuore smise di battere. Forse il mio lettore ha provato una sensazione simile: dura solo un secondo, ma per quel minuscolo arco di tempo ti senti vuoto, mentre il tuo respiro si ferma e il tuo cuore non batte. Ed il secondo dopo è già tutto finito.
Ebbene è così che mi sentii in quel momento, soggiogata dal peso incredibile della solitudine. Poi mi accorsi di due figure in acqua, che col buio della notte non avevo notato.
Sospirai di sollievo e zoppicai fino alla scala che scendeva nell'acqua. Il primo ad uscire dall'acqua fu Van Helsing, bagnato fino al midollo. Mi scostai per farlo salire e guardai di nuovo verso il basso, verso quel pozzo oscuro che era il Moldava.
Karl si arrampicò sul bordo di strada asfaltata e mi guardò. Aveva uno sguardo talmente intenso e carico che dovetti voltarmi concentrandomi su qualcos'altro. Sentii la mano di Karl prendere la mia, perchè nel buio nessuno ci avrebbe notati; capii che per il momento nient'altro potevamo concederci, non ci abbracciammo stretti l'uno all'altra come avremmo voluto. Ma andava bene così.
«Krista?»
«Si?»
«Prima, quando stavi per buttarti dal tetto... Mi hai fatto incazzare parecchio.»
Io lo guardai scandalizzata. «Karl, non puoi dire così!»
Lui mi guardò di rimando. «Ti paio un frate, per caso? E anche se lo sembrassi, non sarebbe questo il peggio che potrei...»
Io lo interruppi sorridendo maliziosa: «Non ci avevo pensato.»
«In un certo senso, però, devo ringraziarti.»
«Perchè?»
«Se non avessi cercato di suicidarti non avrei mai tagliato il piede al vampiro.»
Io annuii. Mi sentii molto importante.
Ci accorgemmo che una piccola folla si era radunata intorno a noi. Molti additavano Van Helsing mormorando qualcosa in un idioma che, credo, fosse la lingua cecoslovacca. Altri fissavano me ed altri ancora Karl.
Un uomo si fece avanti. Era lo stesso ufficiale che mi aveva accompagnata alla locanda.
«Avete ucciso un vampiro!» esclamò. Si volse verso la folla e gridò: «Hanno ucciso un vampiro!!»
Dato che il tono sembrava accusatorio, strinsi la mano di Karl per farmi coraggio. Invece dalla folla si levò un'autentica ovazione. Una nuova ondata di emicrania mi investì come un treno in corsa. Non sapevo cosa facesse più male: la storta, il braccio o la testa. Decisamente avevo bisogno di un letto, ma chiaramente non mi fu concesso un po' di riposo.
L'ufficiale parlò ancora: «Vi siamo grati, signori, per il vostro operato. Mi domando come abbiate fatto a sapere come combattere i mostri e, soprattutto, mi chiedo chi vi abbia concesso le vostre armi. Non sapete che è proibito portare armi senza licenza?»
Van Helsing sorrise. «Davvero? Allora la prossima volta le lasceremo a casa e vi salverà qualcuno col permesso.»
Molti degli astanti risero e anche l'ufficiale si rilassò. «Avete ragione. Perdonate la mia insolenza. Ma noto che siete feriti» aggiunse, indicando me e Karl con lo sguardo. «Andate a riposare. Vi attendo domani mattina al Palazzo di Giustizia. Parleremo di ciò che questa sera avete compiuto.»
Io sbuffai. Van Helsing annuì e insieme ci facemmo strada nella calca. Raggiungere la nostra locanda fu un'impresa, dato che tutta la gente che aveva visto i vampiri ci seguiva per farci delle domande. Van Helsing e Karl mi aiutarono a raggiungere la nostra stanza, che stava al secondo piano. Una volta entrati mi fiondai sul mio letto. Crollai addormentata immediatamente.
Quando mi svegliai era ancora buio. La prima cosa che notai fu che il mal di testa aveva tolto il disturbo. Alzai il braccio per grattarmi il capo e mi accorsi che qualcuno mi aveva medicata, Van Helsing probabilmente. Mi misi seduta e vidi che ero sola.
Non mi preoccupai di dove fossero i miei compagni. La sera prima Van Helsing sanguinava alla tempia per la caduta e Karl aveva un brutto livido su uno zigomo, ma non pareva fossero gravi. Sbuffai e mi alzai dal letto. Saltellai su un piede fino alla finestra, lasciandomi cadere sulla morbida poltrona appoggiata al davanzale. Fuori pioveva e tirava vento.
Lentamente scivolai di nuovo nel sonno.
Il giorno dopo sentii una mano che mi destava. Aprii gli occhi e vidi Karl chino su di me. Sorrisi, ancora assonnata, e gli accarezzai i capelli. Erano cresciuti dall'inizio del nostro viaggio, adesso toccavano quasi le spalle. Gli davano un'aria più battagliera.
Lui si sedette su un bracciolo e mi baciò. Io ricambiai e lo strinsi. Per un attimo ebbi come la sensazione di poter vederlo svanire sotto i miei occhi. Non mi chiesi dove fosse Van Helsing, tanto non mi importava affatto. Io e Karl festeggiammo quel che non avevamo potuto dopo la battaglia.
 
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view post Posted on 16/9/2009, 16:39




We are Golden!!
Quando il giorno dopo uscimmo, ci sentimmo quasi persi. Una trentina di persone rendeva la strada impraticabile, senza permetterci di muovere un passo. L'attrazione del giorno eravamo noi.
Io ghignai e cominciai a farmi largo tra la folla, a poca distanza da Van Helsing e seguita da Karl. Dovevamo incontrarci con l'ufficiale al Palazzo di Giustizia e ci arrivammo con molta più fatica del previsto. Salimmo le scale che precedevano le imponenti porte del Palazzo ed entrammo.
Un uomo in divisa ci venne a chiedere cosa desiderassimo e Van Helsing gli spiegò il motivo della nostra visita. L'uomo annuì e ci fece strada fino al terzo piano, occupato da uffici e studioli di lusso.
Uno di questi era quello dell'ufficiale.
Quando entrammo ci fece accomodare e ordinò che venissero portati degli aperitivi.
«Che cosa vorreste bere?» domandò, osservandoci.
Van Helsing sorrise divertito e, se posso dirlo, impertinente. «Birra, grazie mille.»
L'ufficiale parve stupito dalla richiesta, ma annuì dopo un attimo di smarrimento e congedò il soldato. Poi si sedette dietro la scrivania di legno massiccio. Incrociò le mani sotto al mento e sospirò. Finalmente si decise a parlare.
«Mi avete messo in una posizione difficile, ieri sera. Non nego che abbiate liberato il mondo da una ben mostruosa piaga, ma la caccia ai vampiri era sotto il mio controllo. Ho fatto, se poso essere franco e schietto, la figura dell'incapace.»
Van Helsing non rispose e continuò a fissarlo. L'ufficiale proseguì: «Non mi sono presentato! Capite adesso quanto la situazione mi agiti. Mi chiamo Abraham Stoker, avrete sentito parlare di me.»
Ancora una volta nessuno di noi rispose. Cominciavo a sentirmi sulle spine.
«Posso dunque sapere con chi ho a che fare, signori?» chiese Stoker, con un cipiglio di disappunto.
«Mi chiamo Gabriel Van Helsing, avrai sentito parlare di me» rispose questo, con un sorriso sbieco, utilizzando le stesse parole del nostro ospite.
Stoker annuì, pensieroso. «Van Helsing!» esclamò infine. «Ecco la risposta a tutti gli enigmi. Van Helsing, colui che, pare, nessun uomo vivente può uccidere. Mi dicono che sei un assassino. C'è una taglia sulla tua testa e manifesti con il tuo viso sopra sono affissi in tutte le più grandi capitali d'Europa e d'oltre mare. A Parigi mi offrirebbero 50.000 franchi per la tua cattura; a Londra verrei ricoperto di sterline, oltre 80.000 dollari mi verrebbero consegnati a New York. Persino a Mosca, che tanto pullula di tuoi ammiratori, potrei pretendere fino a 150 milioni di rubli. Non mi resterebbe altro da fare che fare i miei conti e valutare il miglior offerente. Diventerei più ricco dell'Asburgo.»
Van Helsing alzò le spalle e disse: «E a me non resterebbe che tirare fuori la mia spada, trapassarti il fegato e lasciarti qui a morire, mentre io me ne andrei in giro con tranquillità fuori e dentro Praga, seguendo i miei interessi.»
Stoker annuì, sorridendo. Poi si alzò e prese a passeggiare per la stanza.
«Già!» riprese l'ufficiale. «Perchè non dovresti? Dopotutto, non sono interessato al denaro quanto alla gloria. Verrei conosciuto nelle più grandi città del mondo come colui che ha catturato il grande Gabriel Van Helsing, impresa nella quale perfino il conte Dracula ha fallito.»
Sentii Karl irrigidirsi sulla sedia e Van Helsing domandò: «Come conosci il conte Dracula, tu?»
«Io? Oh, tutti sanno chi sia, ma solo pochi di questi lo conoscono per quello che è. Io sono tra questi. E sai una cosa? Potrò avere tutto il denaro che vorrò quando mi avrà reso immortale. E lo farà, Van Helsing. Lo farà se rispetto l'accordo.»
Io allora parlai per la prima volta: «Quale accordo?»
Lui mi osservò sorridendo e piegò il capo. Sembrava uscito da un libro horror.
«Oh, anche tu fai parte del piano, ragazza. Quando ti raccattai per strada, proprio ieri mattina, non potevo sapere fossi tu. Se l'avessi saputo, ora saresti già nelle mani del mio padrone. Il conte mi ha promesso l'immortalità, se riuscirò a portargli Van Helsing e la sua giovane discendente Krista.»
Van Helsing sembrò offeso da quest'ultima affermazione, perchè si alzò in piedi di scatto e prese Stoker per il collo, inchiodandolo al muro.
«Tu non devi nemmeno pensare che Krista e quel mostro abbiano qualcosa in comune. Non devi neppure provarci, hai capito? E adesso» aggiunse, lasciandolo andare, «Adesso dimmi perchè il tuo padrone è tanto interessato a noi da mandarci dietro ben tre vampiri ed un rinnegato bastardo come te. Cosa vuole, eh?»
Stoker rise della reazione di Van Helsing. «Non lo hai capito? Sapevo che eri impulsivo ma non pensavo fossi stupido. Lui vuole te per vendetta pura e semplice. Non gli servi a niente, vuole solo divertirsi a tue spese. E poi la mia padrona Aleera insiste perchè lo faccia. Per quel che riguarda la fanciulletta, non sopporta l'idea che un essere impuro come lei possa camminare indisturbato sulla terra. Deve morire o sottomettersi al potere di Dracula.»
Io abbassai lo sguardo sconvolta. Mi sentii in un certo qual modo tradita dalle affermazioni di Stoker; non mi ero certo aspettata che Dracula mi amasse come una figlia, ma che volesse eliminarmi mi fece sentire male. A pensarci ora mi pare strano che non mi sentissi terrorizzata dal fatto che un essere immortale mi dava la caccia, ma allora ero più preoccupata ad autocommiserarmi. Anche Karl scattò in piedi.
«Non sarai tanto stupido da pensare che ti lasceremo consegnare Krista a Dracula!» esclamò.
Stoker sorrise. «Oh, ma l'avete appena fatto!»
Lo guardai senza capire e, all'improvviso, una mano ghiacciata mi si posò sul collo. Emisi un gridolino di sorpresa e cercai di alzarmi, ma la mano cercò impedirmelo.
Seguì una profonda confusione della quale non ricordo tutti i dettagli.
Dracula mormorò alle mie spalle: «Salve Gabriel. Krista, è un piacere rivederti.»
Io non risposi. Karl era impietrito dalla vista di Dracula. Come biasimarlo? Io l'avevo visto solo in sogno e ero rimasta ugualmente scossa. Van Helsing strinse istintivamente la pistola, anche se sapeva non potesse servire a molto.
«Conte!» esclamò Stoker. «Siete voi. Meno male. Avete Krista e Van Helsing, come promesso.»
Io lo guardavo spaesata e mi ricordai di Karl solo quando vidi il viso di Stoker contrarsi in una smorfia. Allora abbassai lo sguardo fino al suo stomaco e seguii la linea di una spada, poi di un braccio fino a riconoscere il mio amante. Stoker si accasciò a terra lentamente, senza un lamento. Karl l'aveva ucciso. Per un attimo mi convinsi di stare sognando, come tutte le altre volte, ma quando sentii di nuovo il freddo arto di Dracula sulla mia nuca capii di essere sveglia.
Van Helsing guardò prima Karl e poi il vampiro e annuì. «Bene. Finalmente soli, eh, conte?»
Dracula rise di gusto. «Si, finalmente mi hai tolto di mezzo quell'incapace. Era così viscido e meschino che perfino il suo sangue mi sarebbe parso poco gustoso. Mi hai liberato di un bell'impiccio, ragazzo. Ti devo ringraziare.»
Karl per tutta risposta rimase a fissare il corpo ormai senza vita di Stoker.
Sentii Dracula ridere ancora e provai un profondo dolore alla tempia. Lentamente scivolai nel buio.
 
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